Padova, sede di attivo fermento culturale, presenta un evento straordinario all’interno del Palazzo Monte di Pietà, che si affaccia sulla suggestiva piazza del Duomo: un’inedita mostra dal titolo curioso e accattivante: “Bembo e l’invenzione del Rinascimento.”
Pare impossibile “inventare” un’epoca, no? Per avere una risposta bisognerebbe non perdere l’occasione di una visita in loco.
A chi fosse impossibile partecipare concretamente (viviamo tempi bui di verifiche e interrogazioni) viene in soccorso il Salice, grazie alla preziosa collaborazione di chi, invece, non si è lasciato sfuggire l’opportunità di tuffarsi in un’epoca che per l’Italia è stata una vera e propria “età dell’oro”.
Ringraziamo Gianmarco Gaia (I classico B) per il suo prezioso racconto pieno di dettagli ed entusiasmo; via, dunque, alla scoperta della personalità geniale e poliedrica di un personaggio simbolo quale Pietro Bembo.
“Pietro Bembo è un umanista che si può a ragion definire “pioniere del rinascimento“. Nacque a Venezia nel 1470 e fu esponente di un’importante famiglia patrizia; ereditò dal padre Bernardo, uomo politico onesto ed efficiente, una straordinaria curiosità per ogni fenomeno che lo circondasse e un amore viscerale per la letteratura latina e greca. Dopo un breve soggiorno a Messina (durato solamente due anni) finalizzato all’apprendimento della lingua greca, si trasferì a a Padova: in questa splendida città poté dedicarsi alla passione che da sempre lo animava, la letteratura. Divenne un importante mecenate; spiccano tra i suoi amici e protetti i nomi di Giorgione, Tiziano e Michelangelo. A Pietro Bembo si deve anche una preziosa quanto utile invenzione, che facilita la carriera scolastica di noi studenti odierni: i libri tascabili. Essendo di dimensioni ridotte, si sottintende l’utilizzo di queste piccole raccolte come diletto e svago personale”.
Il tentativo (pienamente riuscito) della mostra è ricreare all’interno di uno spazio chiuso l’atmosfera intrisa di bellezza e cultura che si respirava all’epoca di questo grande umanista; attraverso un percorso articolato che si sviluppa in 11 sale, audio-guidato dalla voce del curatore stesso della mostra Guido Beltramini, è possibile compiere un iter “lampo” nell’era rinascimentale e fare irruzione nello studio personale di uno dei suoi artigiani.
Ogni oggetto esposto ha un collegamento diretto con Pietro Bembo: figura ad esempio una ciocca di capelli della contessa Lucrezia Borgia, presunta amante del nostro audace letterato. Lo spettatore ha la sensazione di essere catapultato indietro nel tempo e di trovarsi al cospetto di artisti e poeti medievali, riuniti intorno al personale scrittorio di Bembo.
Le stanze si succedono in ordine cronologico e sono piuttosto buie, per mantenere in condizioni ottimali le opere pittoriche e i manoscritti di valore inestimabile.
Una delle opere che ha colpito maggiormente il nostro testimone oculare, Gianmarco, è il “ Cristo Portacroce“, olio su tela di Michelangelo: sembra il particolare di un’opera, dove il protagonista emerge dall’oscurità con un effetto di particolare chiaroscuro. L’espressione sofferente è terribilmente surreale e i colori nitidi, accesi, conferiscono alla scena un tocco di crudo verismo.
Un’altra sala è dedicata a “Gli Asolani“, celebre opera di Pietro suddivisa in 3 libri che hanno l’amore come tema comune, affrontato sotto varie e poliedriche prospettive; si accosta al manoscritto il ritratto di Giorgione che possiede il medesimo titolo: in esso sono raffigurati due giovani, un doppio ritratto che esprime due diverse concezioni di innamoramento. In primo piano lo sguardo languido e malinconico del ragazzo lascia intravedere una lieve sofferenza, sentimento scaturito da un amore non corrisposto. Sullo sfondo, il secondo volto ha un barlume di follia negli occhi e punta l’osservatore del quadro con sguardo indagatore. Quest’incrocio di sguardi contrastanti suscita una particolare e suggestiva reazione dello spettatore.
Avventurandosi tra le opere e i ricordi esposti a palazzo si riesce a capire lo spirito di Pietro Bembo e come egli abbia ritenuto fondamentale adoperarsi per il sogno di un’Italia unita; emerge e appare comprensibile la sua necessità di trovare qualcosa in cui identificarsi e in cui riporre il proprio impegno.
Lo spirito patriottico e l’orgoglio nazionalista che forse attualmente ci manca potrebbe germogliare inaspettatamente proprio da un’esperienza che sottrae poco più di 60 minuti di tempo: non è mai tardi per apprezzare i capolavori giuntici come testimoni di un’epoca che ha visto l’Italia, il nostro paese, brillare di luce propria.