Lo scorso 7 ottobre “Il Salice” è stato ospite del carcere minorile “Ferrante Aporti” in occasione di una diretta dal penitenziario di “Prima Radio”. Insieme ai ragazzi di Valsonair i nostri redattori si sono confrontati per un intero pomeriggio con i detenuti, in uno scambio reciproco di testimonianze sulla vita dietro e oltre le sbarre. La rielaborazione dei temi emersi nell’incontro cui li hanno guidati i docenti in queste settimane e il lavoro di condivisione con il resto della redazione hanno portato alla stesura di questo reportage.
“Perché fai le foto?”. “Perché sì”. Ecco il primo e faticoso incontro (faticoso in quanto abbiamo dovuto rincorrere il soggetto in questione per l’intera sala affinché si prestasse all’intervista) con uno dei ragazzi dei detenuti del carcere minorile Ferrante Aporti di Torino: è il primo a staccarsi dal gruppo intimorito ma al contempo spavaldo dei ragazzi curiosi di conoscerci.
Il piano originario era di colloquiare in maniera più o meno forzata con il singolo: ma le nostre aspettative di un interlocutore restio al dialogo sono state deluse dalla spontanea schiettezza dei ragazzi.
Non solo non si sono presentati silenzi imbarazzanti, ma addirittura il clima era di aperta condivisione da entrambe le parti: un vero e proprio circolo di conversazioni intrecciate l’una con l’altra.
[sotto: il logo dell’associazione “Aporti Aperte” presente all’incontro del 7 ottobre]
Tra lo stupore complessivo dei partecipanti, tuttavia, aleggiava, nel parlare, un’attenzione particolare verso le reciproche posizioni: “Loro sapevano benissimo che avevamo dei pregiudizi nei loro confronti, glielo si leggeva in faccia”, come afferma una ragazza del nostro gruppo. Prosegue: “Abbiamo però instaurato uno scambio di opinioni che ha lasciato qualcosa a tutti”.
Ha fatto breccia nella nostra sensibilità anche il fatto che “fossero tutti ragazzi della nostra età” e quindi non distanti anni luce da noi, come spesso può invece risultare da una testimonianza indiretta.
Aneddoto interessante che ha colpito soprattutto i più audaci di noi è “il loro modo di farsi da sé i tatuaggi: c’è tutto una specie di rituale al riguardo, simile ad un’educazione siberiana”, sostiene un’altra redattrice.
Le libertà concesse all’interno dell’istituto si concretizzano, ad esempio, “nella possibilità di fumare sigarette, nonché di partecipare a laboratori e attività che, per alcuni, si svolgono anche all’esterno del carcere“.
[sotto: alcuni ragazzi sono impegnati nel laboratorio di cioccolateria]
A questo proposito, ci è parso di cogliere un’importante sottolineatura da parte dei detenuti per ciò che riguarda oggetti e situazioni provenienti da fuori: “Sembrava che ogni cosa che provenisse dall’esterno dell’istituto fosse vista sotto una prospettiva diversa rispetto a ciò che già era presente nel carcere”.
Cioè che è subito emerso a caldo è stata una sensazione di un clima in cui “nessuno, mai, è privato della propria dignità di uomo e persona: vi è una grande dignità nei volti di ciascuno“.
Nel ritornare alle proprie occupazioni, noi ci siamo accorti come fatti e oggetti per noi del tutto scontati, là dentro fossero tutt’altro che banali.
In seguito, una volta giunta al termine la giornata, ci accingiamo ad uscire dal carcere e a salutare i ragazzi.
In fila indiana siamo scortati all’esterno, consapevoli dell’arricchimento che abbiamo guadagnato da questo incontro; rimane ancora aperto in noi il quesito su che cosa noi della redazione abbiamo rappresentato per loro.