• venerdì , 19 Aprile 2024

La doppia paternità di un piccolo toret rosa

di Virginia Manzo

Grigio, tutto grigio. Strade e marciapiedi grigi. Persino i palazzi grigi.

In tutto questa uggia c’è però qualcosa che stona, qualcosa di alieno, che sembra irrimediabilmente sbagliato. È un piccolo toret che si sporge con aria imbronciata. È sfacciato come solo una fontanella torinese potrebbe essere e mostra ammiccando quasi con aria compiaciuta la sua lacca nuova di zecca, lo smalto rosa shocking ancora fresco. È maggio e il torello non è l’unico ad avere assunto una colorazione anomala. Panchine e cabine telefoniche a fargli compagnia. L’artista resta ignoto e i cittadini sembrano quasi essersi affezionati alla misteriosa presenza, alla quale affibbiano i più svariati soprannomi (si passa da “Mr Pink” per arrivare anche al nominativo di “pantera rosa”).

A luglio, però, una scoperta straordinaria. Il 14 del mese la città si è svegliata con una sorpresa: un’enorme installazione rosa è apparsa come per magia in Piazza San Carlo, questa volta però contrariamente all’usuale mutismo dell’opera si è sostituito un biglietto firmato Rebor. Firma che rivendica una paternità artistica che il giovane artista vuole reclamare a gran voce. Il suo nome è Marco Abrate e frequenta il primo anno di grafica all’ Accademia Albertina.

Emulatore, ecco come Marco definisce il misterioso “Mr. Pink”, in quanto sostiene di essere stato il primo a dipingere la città di rosa. Una sostanziale differenza tra lui e il fantasma, ci tiene a sottolineare, è che l’altro vandalizza il patrimonio torinese, mentre lui ne ha cura e rispetto e cerca di preservarne l’originale bellezza senza comportare danni permanenti. Questa discrepanza nel modus operandi non ha soltanto reso il giovane meno odioso al comune, ma lo ha trasformato in un vero e proprio artista che, con i suoi schizzi di colore rosa, non ha come solo scopo quello di colorare oggetti in giro per la città, ma vuole raccontare la vita di una città e riportarne alla ribalta opere che sembrano ormai essere date per scontate e dimenticate.

Estremamente provocatoria: è così che si potrebbe definire l’arte del giovane torinese, che è stata spesso fraintesa e ha fatto storcere il naso ai cittadini della città e al comune stesso. Emblema di questa provocazione rosa shocking è sicuramente il cono rosa che il giovane ha fatto indossare come cappello alla statua di Cesare Balbo.

Ora però, con la sua ultima opera, Marco Abrate, sembra avere catturato l’empatia del pubblico.

Una gomma, un paio di pantaloni, delle scarpe, una bottiglia schiacciata, una coppa accartocciata e un telo bianco sul quale questi oggetti sono appoggiati: l’installazione, posta al centro di Piazza Castello, si presenta così ai passanti. Non vi sono volti e men che meno bocche eppure sembra gridare. Il suo, è un urlo di protesta e di dolore a memoria dei fatti avvenuti a inizio giugno di quest’ anno nella piazza.

La gomma, come afferma Marco stesso, starebbe a simboleggiare la sensazione di pesantezza e di oppressione, mentre la bottiglia sarebbe la chiara rappresentazione dei cocci di bottiglia che hanno ferito numerose persone durante la fuga. La coppa, sarebbe invece un riferimento all’ evento sportivo che ha spinto tutte quelle persone in piazza.

Con quest’ installazione estremamente provocatoria e sensibile al tempo stesso, lo studente si è quindi acquistato l’apprezzamento della città.

La co-paternità con l’artista di questa città sempre più rosa resta un mistero e i Torinesi si chiedono chi, imitatore (o collega a seconda del punto di vista) del giovane Marco Abrate, si nasconda dietro al nome di “Mr Pink”.

 

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