• sabato , 20 Aprile 2024

La balena di plastica

Otto milioni di tonnellate gettate in mare ogni anno, l’equivalente di un camion al minuto. L’ottantanove per cento della fauna marina che rischia di essere avvelenata: stiamo parlando della plastica.

Queste cifre spaventose dimostrano quanto l’ecosistema sia in pericolo. E le previsioni per il futuro non sono rassicuranti: secondo il World Economic Forum, fondazione che si occupa di salute e di ambiente,  nel 2050 nei mari si troverà più plastica che pesci.

Già dagli anni ‘80, con la scoperta delle immense isole di rifiuti presenti negli Oceani, il problema dell’inquinamento da plastica era emerso in tutta la sua gravità. Oggetti di plastica e detriti, caduti dalle navi cargo o trasportati al largo durante i maremoti, hanno creato enormi concentrazioni di materiali non biodegradabili, che, ingeriti dagli animali marini, ne provocano l’intossicazione ed entrano a far parte della catena alimentare ittica.

Recentemente questo problema si è riproposto alle cronache con la vicenda della balena ritrovata in una località della Norvegia nei pressi di Bergen. Il 28 gennaio scorso una balena di specie rara, della famiglia degli zifi, è stata ritrovata in fin di vita nella baia della cittadina di Sotra. Dopo vari tentativi da parte dei vigili del fuoco di reindirizzarla verso il mare aperto, l’animale è stato abbattuto per risparmiagli inutili sofferenze. Trattandosi del secondo zifio mai avvistato lungo le coste norvegesi, le autorità hanno deciso di esporne lo scheletro al museo di storia naturale. Il corpo è stato quindi trasportato all’Università di Bergen, dove i biologi marini, verificato lo stato di grave denutrizione dell’animale, lo hanno sottoposto ad un’autopsia, che ha portato a risultati tanto straordinari quanto drammatici: lo stomaco della balena era pieno di sacchetti di plastica. L’apparato digerente era soffocato da trenta buste di varie dimensioni tra cui numerose borse della spesa e imballi che ancora recavano le scritte dei negozi da cui provenivano.

 

Purtroppo questo caso non è rimasto isolato: anche sulle coste dell’Isola di Skye è stato ritrovato uno zifio morto, con quattro chili di sacchetti di plastica che avevano riempito lo stomaco, avviluppato gli intestini e bloccato completamente l’apparato digerente.

I ricercatori marini credono di aver capito la causa di queste morti. Gli zifi, alla ricerca di cibo, si immergono negli oceani a profondità che raggiungono i tre chilometri sotto la superficie del mare. A tali profondità la luce è totalmente assente, perciò le balene utilizzano l’ecolocazione per trovare le seppie e le creature gelatinose di cui si cibano. È probabile che tali prede abbiano un’eco molto simile a quella dei sacchetti di plastica e che quindi gli zifi le ingeriscano per errore, finendo per danneggiare irreparabilmente il loro apparato digerente e morire d’inedia.

Questi eventi, pur essendo tragici, hanno avuto un risvolto positivo: in Norvegia l’opinione pubblica si è massicciamente mobilitata per ripulire le coste dalle tonnellate di rifiuti plastici che le ricoprivano e che avrebbero potuto essere trasportati in mare, finendo con l’uccidere altre balene.

La morte di questi cetacei ha dimostrato che ciascun di noi può fare la propria parte nella lotta all’inquinamento da plastica degli oceani.

Ma la vera sfida è ridurre drasticamente l’impiego delle materie plastiche e riciclare in modo efficace la plastica non biodegradabile. Si tratta di un percorso impegnativo e complesso che coinvolge le industrie manifatturiere, la grande distribuzione e, non ultimi, noi consumatori. Solo uno sforzo congiunto può salvare l’ecosistema e far sì che le balene non siano morte invano.

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