• giovedì , 28 Marzo 2024

Il legame Dio-uomo ai tempi dei social

Basta guardare gli scaffali delle librerie, i programmi TV o i siti Internet. Sta crescendo a livelli esponenziali la ricerca della figura di Dio. In un mondo così veloce, l’uomo si sente perso, senza una luce che indichi il cammino. E allora avverte l’esigenza di isolarsi, di cercare un luogo e un tempo in cui ritrovare l’amico più caro, che dà sicurezza e al contempo suscita una lunga serie di interrogativi. Ma il problema non è dove sia, ma quale priorità si attribuisca al divino. Comunemente, infatti, si usa Dio come un analgesico, da assumere solo al bisogno. Situazioni quotidiane, che però nascondono la vera questione: il legame più o meno profondo tra Dio e l’uomo, sua creatura prediletta.

Per il mondo dell’arte e della letteratura, il discorso cambia. L’artista è l’essere che riesce a trovare una chiave di lettura innovativa per esprimere e comunicare emozioni: dalla paura alla felicità, passando per ogni tipo di inquietudine. E il rapporto con Dio è sempre stato un nodo centrale per la produzione artistico-letteraria. Nasce da un’esigenza innata, che da subito ha creato forti difficoltà interpretative.

Omero, precursore della letteratura occidentale, identificava la divinità con caratteristiche fisionomiche e comportamentali tipicamente umane, forse per renderle più tangibili dall’intelletto e meno temibili. Il punto di non ritorno si è toccato con Virgilio: nell’ecloga IV parla dell’avvento di un puer, che avrebbe ripristinato l’età dell’oro romana, portando grande abbondanza e spensieratezza. E’ uno dei passi più controversi e dibattuti di tutta la produzione occidentale, in quanto molti studiosi medievali tendevano a riconoscere nel poeta latino un profeta ante litteram.

Dante invece è il poeta cristiano per antonomasia. La sua Commedia, in un periodo di forte teocentrismo come quello medievale, caratterizzato da forti polemiche riguardanti la Chiesa, risponde al bisogno dell’uomo comune di trovare una forma di manuale di istruzioni per non cadere nel peccato. E si rivolge direttamente a lui, come sostiene Pietro Coda sull’Enciclopedia Treccani, secondo cui “la Commedia di Dante è divina perché umana e umana perché divina. La straordinaria forza con cui il Poeta scende negli anfratti più tenebrosi e si eleva agli slanci più celestiali del cuore umano, scaturisce dalla consapevolezza che l’uomo è per Dio e Dio è per l’uomo“.

Questi tre esempi indicano la necessità, fino a quel momento, di un radicale cambiamento e di una presa di coscienza dell’essenza dell’uomo, facilmente imputabili a una presenza sovrumana, qualunque essa sia. Negli ultimi tempi, invece, l’uomo è fin troppo sicuro della propria sostanza, tanto da procrastinare per una consistente parte della sua vita l’incontro con Dio. L’argomento divino è diventato un tabù, quasi quanto un aspetto scabroso.

L’artista tende a sottolinearne la conflittualità del rapporto, come ha fatto Fabrizio de Andrè. Con grande rispetto, il cantautore genovese dedica un intero album, La Buona Novella, all’interpretazione della propria visione religiosa e alla problematicità della propria relazione con il divino, in quanto instancabile esponente della ricerca del significato della vita e di Dio nascosto.

E’ dunque chiara, all’interno della società odierna, la presenza di un abisso, più o meno colmabile, tra l’essere umano e il suo Creatore. Ed ha perfettamente ragione D’Avenia nel suo L’Arte di Essere Fragili: la poesia intercetta ciò che l’uomo è a rischio di perdere, perché ne sente prima la nostalgia.

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