• martedì , 19 Marzo 2024

Chi ha paura dei robot?

di Giorgio De Marchi

L’osare e oltrepassare ogni limite è nel sangue degli uomini – “Considerate la vostra semenza: fatti non foste a viver come bruti ma per seguir virtute e canoscenza” disse già Dante con il suo Ulisse- tanto da portare l’intelletto umano a dar vita a creazioni rivoluzionarie: dai fratelli Montgolfier ai fratelli Wright, per tentare quello che Icaro fallì, da Meucci a Turing, per congiungere il mondo restando nelle proprie case.

Oggi il progresso informatico ha dato la possibilità di produrre un qualcosa tecnologicamente e umanamente incredibile e a tratti spaventoso: il robot. Già Leonardo da Vinci a fine ‘400 progettò probabilmente un automa meccanico umanoide sotto spoglie di un cavaliere, previsto per animare una delle feste alla corte sforzesca di Milano. Oggi con la quarta rivoluzione industriale in atto gli automi meccanici continuano ad evolversi e a svolgere mansioni gravose o di estrema precisione: dai robot che assemblano macchine o puliscono le strade, a quelli che compiono operazioni chirurgiche o disinnescano bombe. Nell’ambito dei trasporti hanno già inventato macchine che si guidano da sole allo scopo di trasportare merci da un paese all’altro senza guidatore. I robot così sicuramente gioveranno ai ricchi che vogliono arricchirsi, riducendo tempi di produzione e al contempo aumentando la buona riuscita di un prodotto, il tutto però andando a minacciare parte del lavoro oggi svolto dall’uomo. Questo avverrà soprattutto nei Paesi emergenti che fino a ieri avevano sviluppato un’industria a basso valore basata su una manodopera low cost, il tutto per la volontà dei Paesi sviluppati di massimizzare lo sfruttamento di tali territori.

Secondo l’Onu, in un futuro non così remoto, tale manodopera potrebbe passare per il 66% in mano ai robot e, per attutire il forte impatto che gli automi meccanici avranno sulla Terra, la stessa Organizzazione propone vari ipotesi, come rendere la rivoluzione tecnologica oggetto di studio nelle scuole e puntare su una collaborazione intelligente tra uomini e macchine. Infatti gli esseri umani devono essere messi nelle condizioni di utilizzare la tecnologia per aumentare la produttività, ma anche per lavorare meglio e migliorare la qualità della propria vita. Ma nascondere il loro ruolo, cercando di disumanizzare il rapporto uomo-macchina che permette all’intelligenza artificiale di funzionare, non fa altro che rendere quest’ultima uno strumento potente, razionale e imperscrutabile.

Conferma dell’importanza di questo rapporto viene anche da Salvatore Arena: “Per me è stato come ricominciare una nuova vita” dice il 43enne piemontese che nel 2016 a causa di un incidente in fabbrica ha dovuto subire l’amputazione dell’avambraccio al Cto. Il suo deus ex machina è stata l’Officina Ortopedica Maria Adelaide di Torino, applicando per la prima volta in Piemonte una protesi “BeBionic” col controllo di nuova generazione “Myo Plus”. Con questo sistema il software della protesi capta l’attivazione dei muscoli dell’avambraccio e li traduce in uno schema di movimento assegnato alla mano, tanto più che il paziente, scaricando ed installando l’applicazione sul suo cellulare, può collegarsi in totale autonomia alla protesi.

Ovviamente apocalittici e futuristi invitano alla calma riguardo alla produzione, sviluppo e messa in pratica dei robot, per evitare eventuali insurrezioni stile “Terminator”. Questa potrebbe essere una visione leggermente estremista, ricordando come l’automa meccanico più conosciuto dalle ultime generazioni Wall-e, plasmato dall’abilissima mano dei produttori Pixar e protagonista dell’omonimo film, stereotipa la figura del robot quale salvatore dell’umanità e fulcro di emozioni. D’altro canto in questa supposizione si possono ritrovare dei tratti di realtà: sembra una favola moderna di cui Alice e Bob sono i protagonisti, nomi umani ma corpi di robot, e se ancora non hanno un’anima la fama ce l’hanno eccome.

Stando alle notizie trapelate da Mellow Park negli USA, il colosso di Facebook ha messo in piedi un esperimento di intelligenza artificiale, durante il quale i due robot sarebbero riusciti a parlarsi in una lingua incomprensibile ai ricercatori. Se nuovi Frankenstein sfuggiti al controllo dei loro mentori o semplici errori di programmazione che portarono le due macchine a semplificare la lingua inglese con la quale parlavano, in ogni caso i due robot hanno costretto i ricercatori a staccare la corrente per la paura dopo aver sentito quel dialogo incomprensibile. Finora si era abituati alle tecnologie e alle intelligenze umane e artificiali messe al servizio della ricerca per fini sociali e medici. Ma tra le pieghe delle ricerche sull’intelligenza artificiale si annida il desiderio di creare una razza aliena da schiavizzare, magari per raccogliere pomodori nelle campagne, con il rischio di una rivolta tutt’altro che artificiale.

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