• venerdì , 19 Aprile 2024

(Non) andrà tutto bene

di Beatrice Mattioli

Durante il periodo di lockdown, oltre al boom di richieste di mascherine e gel disinfettanti, c’è stata una grande richiesta di prodotti specifici per trattare l’ansia. In molte farmacie, infatti, si è registrata un’impennata negli acquisti di ansiolitici e soprattutto di sedativi, per contrastare l’insonnia.

A primo impatto, le persone più turbate da questa situazione sembrerebbero quelle di mezz’età, essendo quest’ultime i maggiori consumatori di farmaci contro i sintomi dell’ansia. Tuttavia, anche nei più giovani si è manifestata la paura, sotto forma di disturbi del sonno, attacchi di panico, aumento dell’irritabilità. Questi dati sono stati portati alla luce da un questionario raccolto tra il 24 marzo e il 3 aprile 2020. L’iniziativa è stata promossa dall’Irccs di Genova Giannina Gaslini e guidata dal neurologo Lino Nobili, direttore del dipartimento di neuropsichiatria infantile dell’istituto. Al questionario hanno aderito 6800 soggetti, in forma anonima, da tutta Italia. I dati raccolti hanno evidenziato che le conseguenze della quarantena hanno interessato tutte le fasce di età, bambini compresi. In particolare, sotto i 6 anni, i disturbi più frequenti registrati sono stati l’aumento dell’irritabilità, disturbi del sonno, legati alla paura del buio e disturbi d’ansia, in particolare ansia da separazione. Invece, tra i 6 e i 18 anni è prevalsa la sensazione di mancanza d’aria e una significativa alterazione del ciclo circadiano. In ogni caso, la ricerca condotta ha chiarito che il livello di gravità dello stress nei minori dipende molto dalle condizioni di malessere dei propri genitori.

Il distanziamento sociale oltre a far nascere nuove paure ha fatto emergere quelle più intime, con cui in condizioni di “normalità” si riesce perfettamente a convivere. La morte di migliaia di persone, tra cui amici e parenti ha violentemente ricordato che in quanto mortali, siamo vulnerabili; le nostre vite sono appese a un filo estremamente sottile, che potrebbe spezzarsi da un momento all’altro. Si è dunque riscoperta la fragilità umana ontologica in aggiunta a quella fisica, connessa, in questo caso, alla sintomatologia del covid-19 e alle sue complicazioni più gravi. Il materiale che metaforicamente rappresenta meglio la condizione labile dell’uomo è il vetro. Il rischio del vetro, infatti, non è quello di ammaccarsi, ma di scheggiarsi o di frantumarsi in pezzi così piccoli da essere impossibili da riassemblare.  Un altro elemento che ha generato sconforto nella popolazione è stata la precarietà della via durante la pandemia. Gli “arresti domiciliari” venivano rinnovati di settimana in settimana dal premier Conte e nessuno, in quella fase, era in grado di dire quando e se sarebbe finita quella “fase”. Al termine dell’isolamento, però, è sorta in molti una nuova paura, quella di uscire di casa. Quest’ultima di per sé non è una vera e propria malattia, tuttavia, alcuni psicologi parlano di una vera e propria sindrome, la “sindrome della capanna”. Questo fenomeno psicologico, a detta degli esperti, è legato al forte stress a cui si è stati sottoposti durante la pandemia. La paura è quella di tornare per strada, camminare tra la gente e confrontarsi con gli estranei. Il meccanismo è lo stesso che scatta quando non si vuole tornare al lavoro dopo un lungo periodo di vacanza.

Nei manuali di psicologia esistono così tante malattie, che, sfogliandone le pagine, ci sembrerebbe di essere delle persone problematiche. Il fatto che una persona provi determinate paure non equivale a dire che si è affetti da una sindrome psicologica. Le psicopatologie sono tante e i parametri di valutazione cambiano continuamente, tendendo ad abbassarsi sempre di più. Dunque, non è possibile essere completamente “immuni”;  essere “sano” dipende dalla capacità individuale di provare, in modo più o meno accentuato, in determinate fasi della vita,  tristezza, ansia, stress mantenendo comunque uno stato di equilibrio.

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