• venerdì , 19 Aprile 2024

Tollero, dunque sopporto

di Alice De Nardis

Troppo spesso nella storia del pensiero si é andati incontro a un eccessivo pietismo caratterizzante la volontà di rendere romantica la condizione dell’uomo e la sua fallacità. L’uomo tende ad essere estremamente compassionevole nei confronti di se stesso, perdonandosi ogni errore in vista della sua limitatezza e imperfezione. 

Che l’essere umano non possa aspirare alla perfezione é la verità; che l’errore faccia parte della sua natura é una certezza scientifica. Ma che queste debbano diventare scuse per giustificare ogni comportamento e per farlo rientrare entro i confini della tolleranza é inaccettabile in un contesto sociale. L’uomo, animale sociale, come fu definito da Aristotele, sente il naturale bisogno di riunirsi in società, di identificarsi con un gruppo di appartenenza. Ebbene, questo meccanismo naturale non é dettato da virtuose idealità e volontà di condivisione, bensì dal tentativo di porre fine alla tendenza di prevaricazione sull’altro. Questa viene in società annichilita dal predominio delle leggi e delle convenzioni sociali cui l’uomo si sottopone, ma nel campo dell’ideale é difficile da eliminare. 

Si evince che già per natura l’uomo non sarebbe portato alla tolleranza, ma la può imparare in forma di convenzione sociale, che, tuttavia, sfocia spesso in un semplicistico buonismo che segue il principio secondo il quale ognuno deve essere libero di fare ciò che vuole. Chiunque arriva logicamente a comprendere quanto questo ideale di presupposta tolleranza mascheri, invece, da una parte una forte indifferenza (nel non curarsi delle azioni e delle opinioni altrui) e dall’altra l’individualismo più bieco, che pone la volontà individuale al di sopra di ogni criterio sociale. Ecco che la “tolleranza” sta invece distruggendo la società che dovrebbe unire. Questa non é tolleranza, ma anarchia: la mancanza di un qualsiasi criterio morale unificante e universale

Ne risulta dunque che il perdono degli errori e la tolleranza (che vengono spesso fatti coincidere) non siano naturali per l’essere umano e richiedano una grande forza di volontà, ma anche una forte razionalità nel valutare situazioni, opinioni e fatti che accadono. L’uomo venne, infatti, da Aristotele definito anche “animale razionale”: egli deve tentare di sfruttare tale capacità razionale ai fini del vivere sociale. L’unico modo che ha per raggiungere la tolleranza é attraverso il ragionamento, la criticità, lo sviluppo di un dubbio e di una conseguente opinione. La volontà di sviluppare un pensiero autonomo non é da intendersi come distacco dalla società, dalle sue idealità, bensì come tentativo di avere uno sguardo critico sulla realtà sociale.

Oggi questo tentativo é sempre più concepito negativamente, tanto che chiunque provi ad applicarlo é tacciato non soltanto di intolleranza, ma spesso dell’adesione a visioni a lui del tutto estranee, che sfociano in posizioni e ideologie politiche, laddove la questione sarebbe puramente etica.

Esempi lampanti ed estremamente attuali sono le questioni dell’identità di genere, del razzismo, del femminismo. Molto dibattute specialmente nel mondo occidentale, danno adito quotidianamente a episodi di intolleranza, violenza e sono sfociati in vere e proprie rivolte armate in territorio americano (si vedano le rivolte del movimento antirazzista BLM). Questi accadimenti sono frutto di un malessere profondo di soggetti che subiscono discriminazioni sociali e che giustamente dovrebbero combatterle, eppure hanno raggiunto eccessi di irrazionalità quasi animaleschi. Le proteste dei BLM sono passate da marce pacifiche a rivolte armate, hanno distrutto interi quartieri, le case e le imprese di migliaia di innocenti e non hanno, di fatto, concluso molto. Allo stesso modo, i discorsi sull’identità di genere hanno da tempo prevaricato i limiti dell’interesse scientifico, per sfiorare quelli della pura immaginazione e della vanità umana, tanto che si é arrivati ad ascoltare notizie di chi si identifica con stelle o chi non vuole che si usino i pronomi “lui/lei” per chiamare le persone, ma vorrebbe aggiungerne di nuovi, che spesso non hanno neanche un significato proprio. 

Questi paladini della tolleranza e dell’inclusione sono gli stessi che si indignano se vedono che un gruppo, misto fra uomini e donne, viene chiamato al maschile, come é giusto che sia secondo la lingua italiana. Ecco che, di nuovo, i tolleranti dimostrano livelli di intolleranza inimmaginabili persino per gli intolleranti. Non a caso, infatti, vengono coniati termini dalle piattaforme mediatiche quali “nazifemminismo”, che indica chiaramente un’impostazione intollerante applicata a un movimento che dovrebbe invece apportare cambiamenti positivi alla società. 

Coloro che si identificano con le stelle, i “rioters” che hanno messo a ferro e fuoco Washington in nome della “libertà”, le nazifemministe che si preoccupano di modificare la lingua italiana potranno indignarsi, ma é necessario porre un confine fra la libertà di pensiero, che va tutelata, e l’egoistica e ignorante auto affermazione di sé sulla società e sul prossimo.   

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