• giovedì , 28 Marzo 2024

Il limite della vita

L’idea di eutanasia nasce già in età classica ma si sviluppa nel tempo acquistando varie connotazioni totalmente differenti l’una dall’altra. Letteralmente il termine greco viene tradotto con ‘buona morte’: l’idea che sta alla base infatti è proprio quella di somministrare farmaci al fine di eliminare dalla società in maniera poco dolorosa coloro affetti da malattie inguaribili.

La possibilità di togliersi la vita in questa maniera nacque all’interno di una società guerriera che non ammetteva che ci fossero individui più deboli, considerati un fardello per la società. In quel periodo tuttavia emersero idee controverse come ad esempio quella di Ippocrate che rifuggiva ogni tipo di violenza nei confronti dell’essere umano. Durante il Medioevo invece, essendo strettamente influenzato dall’avvento del cristianesimo, l’opinione comune si orientava sul considerare l’interruzione della vita biologica come un atto orribile.

Il concetto di eutanasia viene poi ripreso nel corso del Novecento in particolar modo durante le due guerre mondiali. In un primo momento dai due intellettuali tedeschi Alfred Hoche e Karl Binding i quali vedevano un miglioramento economico nell’eliminazione di tutti coloro che venivano considerati un peso per la società. In seguito viene anche rivisitato in maniera molto più elaborata da Hitler che fu il fautore del programma nazista Aktion T4 nato a scopo eugenetico il quale si trasformò in una vera e propria violenza contro i malati in quanto non richiedeva il consenso dei pazienti.

Negli ultimi decenni è stata fatta un po’ di chiarezza riguardo ai vari tipi di eutanasia; essa infatti si divide in tre categorie: l’attiva, ovvero somministrazione di farmaci che portano alla morte; la passiva, ovvero la sospensione delle cure neccessarie per sopravvivere e infine il suicidio assistito ovvero mettere a disposizione del paziente dei farmaci per giungere al suicidio.

Così molti paesi hanno iniziato a renderla legale; l’Olanda è stata la prima in Europa a legalizzarla nel 2002 e così anche il Belgio, il Lussemburgo, la Svizzera e poco a poco negli ultimi anni è stata tollerata sempre di più. 

Gli unici due paesi irremovibili sembrano essere l’Italia e l’Irlanda.

Proprio per questo motivo nell’ultimo decennio è nata una polemica che favorisce la legalizzazione.

Uno dei casi più celebri è sicuramente quello del giornalista e attivista Welby che morì il 20 dicembre del 2006 dopo circa 10 anni vissuti in stadio terminale. Affetto da distrofia muscolare dall’età di 16 anni, nel 2006, in fin di vita, Welby decise di scrivere una lettera al presidente della repubblica Giorgio Napolitano supplicandolo di provvedere a colmare quel vuoto legislativo ancora presente tutt’ora.

Welbly descrive la morte come un approdo e l’eutanasia non come morte dignitosa ma come morte opportuna.

E’ comprensibile infatti che una vita sostenuta esclusivamente grazie ai macchinari sia estremamente difficile e considerabile artificiale a tutti gli effetti; molti, come Welby, non la considerano più vita ma sopravvivenza per rinviare l’inevitabile destino della morte.

Poi spiega ancora:

In Italia, l’eutanasia è reato, ma ciò non vuol dire che non “esista”: vi sono richieste di eutanasia che non vengono accolte per il timore dei medici di essere sottoposti a giudizio penale e viceversa, possono venir praticati atti eutanasici senza il consenso informato di pazienti coscienti

Sicuramente uno dei più grandi problemi presenti nel nostro paese riguardo all’argomento consiste nel fatto che non sia presente una legislazione dettagliata riguardo ai determinati scenari che possono avvenire. Essendo negata l’eutanasia non c’è neanche un grande controllo del problema che in realtà in questo modo non viene arginato. Perciò la maggior parte delle persone che vogliono porre fine alla propria vita per problemi fisici o psicologici non vengono tutelate. 

In questa maniera non si salvaguarda l’essere umano con tutti i suoi diritti ma ci si accanisce su un processo naturale.

D’altro canto non è neanche una questione da sottovalutare: essendo molto delicata è difficile trovare un metro di giudizio adeguato. Senz’altro però è una necessità primaria riconoscere e affrontare il problema al più presto.

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