• giovedì , 25 Aprile 2024

La donna che non si alzò

“In questo nostro procedere verso la giusta meta non dobbiamo macchiarci di azioni ingiuste. Cerchiamo di non soddisfare la nostra sete di libertà bevendo alla coppa dell’odio e del risentimento. Dovremo per sempre condurre la nostra lotta al piano alto della dignità e della disciplina. Non dovremo permettere che la nostra protesta creativa degeneri in violenza fisica. Dovremo continuamente elevarci alle maestose vette di chi risponde alla forza fisica con la forza dell’anima”

Martin Luther King

“Ti piace il baseball, vero Anderson?”

“Si tanto; sapete, è la sola occasione in cui un negro può agitare un bastone contro un bianco senza rischiare la pelle”

Cosi risponde il detective Anderson alla domanda del sindaco Tilman in “Mississipi Burning”, film che racconta la vera e triste storia di tre attivisti americani che nella loro lotta per i diritti civili dei neri vengono brutalmente uccisi nel 1964  in una piccola cittadina non lontano da Memphis.  

Trattando fatti realmente accaduti, il regista cerca di evidenziare l’ emarginazione cui era  sottoposta la gente di colore nello stato del Mississipi negli anni ’50-’60. Senza esagerazione,  le parole di Anderson descrivono in modo conciso e chiaro quale fosse la condizione dei neri al tempo: una vita di segregazione e umiliazioni continue. Non potevano frequentare gli stessi locali dei bianchi, né le stesse scuole o università; compravano in negozi diversi e non potevano stare insieme ai bianchi o, se stavano con loro, dovevano mostrare rispetto e osservare alcune regole fondamentali.

A questa cruda realtà molti avevano già cercato di trovare un rimedio, senza tuttavia mai riuscirviPARKS LACKEY. Solo nel 1955, il 10 dicembre, l’afroamericana Rosa Parks  di Montgomery (Alabama), di ritorno dal lavoro, nel prendere l’autobus si sedette davanti e non dietro, zona regolarmente riservata ai neri. Quando l’autista le impose di alzarsi per lasciare il posto ad un uomo bianco, ella rifiutò. Da quel momento conosciuta come “the woman who didn’t stand up” (la donna che non si alzò), Rosa fu arrestata e accusata di aver violato le leggi della segregazione razziale.

Fu questo piccolo gesto la scintilla che accese la lotta per i diritti civili da parte dei neri. In risposta a tale evento, fu organizzato da Martin Luther King il boicottaggio dei mezzi pubblici che durò 381 giorni. Consisteva, in breve, nel rifiuto da parte di tutti i cittadini di colore di Montgomery di prendere gli autobus. L’anno successivo, finalmente, una corte distrettuale degli Stati Uniti emanò la sentenza che la segregazione razziale sugli autobus era  anticostituzionale.

Una prima conquista da cui ebbe inizio la strenua resistenza non violenta di ispirazione ghandiana, condotta da King (1929-1964), per abolire ogni sorta di pregiudizio razziale che egli stesso aveva sperimentato in prima persona: all’età di soli 8 anni gli fu proibito di giocare con i bambini bianchi. Sempre in quegli anni il padre gli dovette comunicare la morte di Bessie Smith, sua cantante preferita, a causa di un incidente d’auto: nessun ospedale aveva voluto accoglierla perché era nera e questo pregiudizio le costò la vita. A 14 anni poi dovette lasciare il posto a sedere sull’autobus a un ragazzino bianco, rimanendo così in piedi per 140 chilometri. Episodi, questi, che lasciarono un’impronta indelebile nella mente di colui che sarebbe diventato il simbolo della rivoluzione nera.

In occasione della Marcia su Washington per il lavoro e la libertà degli afro-americani svoltasi il 28 agosto 1963, fu proprio Martin Luther King a prendere la parola in difesa di tutti quei grandi ideali e diritti che i neri erano  convinti di poter conquistare, se non per sé almeno per le generazioni future: di fronte a 200.000 persone, secondo alcuni Martin Luther Kingaddirittura 300.000,  neri e bianchi, riuniti al Lincoln Memorial, egli pronunciò un discorso destinato a cambiare il mondo. “I HAVE A DREAM” disse quel giorno. E lo ripetè otto volte.  Spiegò la necessità da parte dell’America non di solo riconoscere ma anche di applicare concretamente l’Emancipation Proclamation, promulgato da Abramo Lincoln nel 1863, con cui veniva decretata la liberazione di tutti gli schiavi in 10 paesi americani. Chiaramente “però cento anni dopo il negro non è ancora libero -continuò King-; la vita del negro è ancora dolorosamente segnata dai ferri della segregazione e dalle catene della discriminazione”. Ecco allora chiarito il motivo di quella manifestazione: denunciare quella condizione vergognosa e riscuotere dal paese americano il debito di libertà che era stato loro promesso un secolo prima. Si trattava di un’urgenza: “è il momento di fare della giustizia una realtà”. Ma per uscire dal buio della segregazione razziale e marciare sulla via illuminata della giustizia, era necessario “condurre la lotta su un piano di dignità e disciplina” senza degenerare nella violenza fisica. Disse di avere un sogno: che un giorno i figli di schiavi e i figli di schiavisti sedessero insieme alla tavola della fraternità; che bambini bianchi e bambini neri si tenessero per mano; che i suoi figli potesseroo vivere in una nazione dove sarebbero stati giudicati per il contenuto della loro personalità e non per il colore della loro pelle. “Let freedom ring”, concluse: lasciate risuonare la libertà.

E grazie a queste parole, che nessuno avrebbe mai più dimenticato,  e all’intervento dell’allora presidente John Fitzgerald Kennedy, sostenitore dell’emancipazione della popolazione di colore, nel 1964 divenne legge il Civil Rights Act, che consisteva nel riconoscere i diritti civili dei neri, invalidando così le leggi Jim Crow nel Sud degli Stati Uniti.

LE LEGGI JIM CROW: servivano a creare e mantenere la segregazione razziale per i neri americani e gli altri gruppi diversi dai bianchi. Esempi di queste leggi possono essere la separazione nelle scuole o nei luoghi pubblici. Il nome deriva forse dal protagonista di una canzone, appunto Jim Crow, un nero sciancato che lavorava in una scuderia, caricatura ed emblema degli afroamericani comparsa nel 1832.

Nel 1968, dopo essere riuscito a espandere il movimento a favore dei neri anche alla lotta contro la povertà e contro la partecipazione degli USA nella guerra del Vietnam, King giunse in un hotel a Memphis, dove cercò di organizzare per  i giorni successivi un nuovo corteo con i suoi collaboratori. Uscì sul balcone della camera per prendere una boccata d’aria, alle 18:01 si voltò per rientrare e si accasciò improvvisamente al suolo: era stato raggiunto alla testa da un colpo di fucile partito da una finestra a 60 metri più in là del suo terrazzo.

«Se qualcuno di voi sarà qui nel giorno della mia morte –aveva detto un giorno– sappia che non voglio un grande funerale».  Ma purtroppo questo ultimo desiderio di King non potè avverarsi: al suo funerale erano migliaia le persone presenti che avevano visto in lui la loro guida, il simbolo della conquista di tutti quegli ideali che ormai da tempo tutti i neri cercavano di raggiungere ma a cui nessuno in realtà si era mai avvicinato tanto quanto MARTIN LUTHER KING.

La parte finale del discorso:

 

Per cui vi dico, amici miei, che anche se affronteremo le difficoltà di oggi e di domani, ancora io ho un sogno. È un sogno profondamente radicato nel sogno Americano,

Ho un sogno: che un giorno questa nazione si solleverà e vivrà nel vero significato del suo credo, noialtri manteniamo questa verità evidente, che tutti gli uomini sono creati uguali.

Io sogno che nella terra rossa di Georgia, i figli di quelli che erano schiavi ed i figli di quelli che erano padroni degli schiavi si potranno sedere assieme alla tavola della fraternità.

Io sogno che un giorno anche lo stato di Mississippi, uno stato ardente per il calore della giustizia, ardente per il calore dell’oppressione, sarà trasformato in un oasi di libertà e giustizia.

 

Io sogno che i miei quattro figli piccoli un giorno vivranno in una nazione dove non saranno giudicati per il colore della pelle, ma per il contenuto della loro personalità.

Oggi ho un sogno!

Sogno che un giorno in Alabama, con i suoi razzisti immorali, con un Governatore dalle labbra sgocciolanti parole d’interposizione e annullamento, un giorno, là in Alabama, piccoli Negri, bambini e bambine, potranno unire le loro mani con piccoli bianchi, bambini e bambine, come fratelli e sorelle.

Oggi ho un sogno!

Sogno che un giorno ogni valle sarà elevata, ed ogni collina e montagna sarà spianata. I luoghi asperi saranno piani ed i luoghi tortuosi saranno diritti, e la gloria del Signore sarà rivelata ed il genere umano sarà riunito.

I say to you today, my friends, that in spite of the difficulties and frustrations of the moment, I still have a dream. It is a dream deeply rooted in the American dream.

I have a dream that one day this nation will rise up and live out the true meaning of its creed: “We hold these truths to be self-evident: that all men are created equal.”

I have a dream that one day on the red hills of Georgia the sons of former slaves and the sons of former slaveowners will be able to sit down together at a table of brotherhood.

I have a dream that one day even the state of Mississippi, a desert state, sweltering with the heat of injustice and oppression, will be transformed into an oasis of freedom and justice.

I have a dream that my four children will one day live in a nation where they will not be judged by the color of their skin but by the content of their character.

I have a dream today.

I have a dream that one day the state of Alabama, whose governor’s lips are presently dripping with the words of interposition and nullification, will be transformed into a situation where little black boys and black girls will be able to join hands with little white boys and white girls and walk together as sisters and brothers.

I have a dream today.

I have a dream that one day every valley shall be exalted, every hill and mountain shall be made low, the rough places will be made plain, and the crooked places will be made straight, and the glory of the Lord shall be revealed, and all flesh shall see it together.

 

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