• venerdì , 29 Marzo 2024

Giusfelicità

L’Isis è ormai ai confini europei, lo scontro fra mondo occidentale e islamico non accenna a placarsi, le tensioni in Ucraina rimangono forti, l’Africa, pur ignorata dai mass media, è martoriata da continue ed estenuanti guerre civili, persino la democrazia è causa di scontri ad Hong Kong: anche nel borghese torpore del XXI secolo, nell’illusione di una pace normalizzata dall’abitudine, la violenza continua a toccarci.

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I. Kant

Nonostante gli indubbi progressi in ambito legislativo, soprattutto in seguito alla II Guerra Mondiale, è ancora dunque estremamente significativa l’opinione di Kant nell’opera “Per la Pace Perpetua“(1795), nella quale afferma che un mondo reale di pace non può che giungere di pari passo con la costituzione di uno stato di diritto. Per quanto considerato fin troppo illuministicamente ottimista in questa sua idea di progresso, Kant arriva al punto. Lontano da medievali idee (Agostino, Tommaso, persino Dante), per cui il male è il peccato radicato nell’uomo, da combattere rivolgendosi a Dio, come anche da alternative di simile tipologia ma laiche (Machiavelli, Hobbes), per i quali il male, anche qui parte integrante umana, può esser soltanto vinto da un’autorità superiore, egli invece, più vicino a Locke, è convinto che l’uomo possa giungere a istituire leggi e diritti comuni, uguali in tutto il mondo, tramite i quali è possibile ottenere la pace.

A. Camus

A. Camus

Il motivo è che si deve unire l’idea di felicità, fine anche inconscio dell’uomo, a quello di giustizia. E’ in questo senso, dunque, fondamentale depolarizzare giusnaturalismo e giuspositivismo: non esistono per l’uomo leggi naturali, bensì tutte le leggi sono poste dall’uomo, che opera però seguendo il proprio “naturale” desiderio, in grado di giungere, razionalmente, a comuni compromessi.
Concetti simili non mancano nella storia: dal daimon socratico, che agisce per avvertire per errori derivati da una mancata conoscenza di sè (“conosci te stesso”), alla coscienza e misericordia cristiane (“tratta il prossimo tuo come te stesso”), a più novecentesche forme di morale laica (l’esistenzialismo della solidarietà di Camus). Già Aristotele affermava, infatti, che l’uomo fosse animale sociale, felice in gruppo, e quindi la giustizia come “determinazione di ciò che è giusto”.
A questo proposito è anche evidente che una legge ingiusta viene subito identificata: non tanto perchè va contro un qualche astratto concetto di giusto, quanto perchè è contraria alla nostra felicità. In pratica, ci danneggia.
Rawls lo spiega chiaramente nell’opera “Una teoria della giustizia“, quando sostiene che la giustizia è inviolabile, nè su questa “può prevalere il benessere della società nel suo complesso”.

J. Rawls

J. Rawls

Questo poiché in una società ingiusta, nella quale l’individuo non è rispettato, non può esistere alcun benessere reale: ad esempio, la situazione di ingiusta iniquità economica mondiale è benessere dell’Occidente solo fittizio e momentaneo: Non solo perché l’uomo soffre vedendo popolazione soffrire di stenti, ma anche perché presto sarà una guerra a riequilibrare la situazione; non per lotta di classe o di etnie, bensì perché ogni uomo tende alla propria felicità.
Di sintesi è quindi il parere di Del Vecchio, che, parlando di coscienza e giustizia come superiori alla legalità (l’uomo risponde a sé, non al dovere delle leggi), lascia un messaggio di misura e razionalità, dicendo che “la giustizia risplende sul vario tumulto delle passioni”, che tanto possono ingannare l’uomo che tende alla felicità, e che, per quanto possa essere difficile esplicitarla, “senza giustizia la vita non sarebbe possibile, né, se anche fosse, meriterebbe di essere vissuta”.

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