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Viaggio nel Califfato del terrore

Da quando Abu Bakr al-Baghdadi ha autoproclamato il 29 giugno 2014 il Califfato islamico, uno Stato che domina incontrastato su un territorio compreso tra la Siria e l’Iraq per un totale di circa 250mila chilometri quadrati, di dimensioni cioè superiori a quelle della Gran Bretagna, e popolato da quasi 11 milioni di abitanti, le democrazie occidentali hanno iniziato a capire che il problema Isis non era limitato a pochi gruppi estremisti medio-orientali.

“Il Califfato del terrore – perchè lo Stato Islamico minaccia l’Occidente” è il libro pubblicato da Rizzoli, scritto da Maurizio Molinari e presentato lunedì 23 marzo presso il Centro Congressi dell’Unione Industriale di Torino.

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Maurizio Molinari, giornalista, scrittore e corrispondente da Gerusalemme per La Stampa, si è laureato in Scienze Politiche nel 1989 e in Storia nel 1993 all’Università La Sapienza di Roma ed ha iniziato la propria carriera professionale nel 1989. Dopo aver trascorso circa 13 anni nella sede de La Stampa della Grande Mela – i suoi tre figli sono infatti tutti nati a New York – gli è stato proposto di trasferirsi in Medio Oriente dal direttore Mario Calabresi perchè “la Storia sarebbe ripassata di là”. Era il 2014 e i fatti gli diedero tragicamente ragione. Ora Molinari sta continuando ad informare gli occidentali della mutevole geopolitica medio-orientale da Israele, dove risiede con tutta la famiglia.

[box] “A mia moglie Micol va il ringraziamento più grande, per aver condiviso la scelta di vivere a Gerusalemme, nella città attraversata da tutti i confini che dividono, infiammano e descrivono il Medio Oriente.” [/box]

Il volume si articola in tre sezioni. Si parte dalle fonti dalle quali l’Is trae il proprio potere (“La genesi del consenso”), poi è studiata la struttura interna amministrativa, sociale e politica del regime, in un capitolo chiamato “Dentro il Califfato”; infine la terza parte, per noi più significativa, s’intitola “Perché tutto ciò ci riguarda”.

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La sala strapiena dell’Unione Industriale

La presentazione si è sviluppata sotto forma di un serrato dibattito tra l’autore e il suo direttore che gli ha rivolto numerose domande. Le riproponiamo integrandole con alcuni stralci del saggio e i commenti che il giornalista ha rilasciato al Salice alla fine dell’incontro.

Come descriverebbe il fenomeno della jihad?

In Occidente la parola jihad è tradotta con il significato di “Guerra Santa”: una battaglia combattuta tra la “casa dell’Islam”, costituita dall’insieme degli stati fedeli all’Islam, e la “casa della guerra”, composta invece da tutti gli stati la cui giurisdizione è in mano agli “infedeli”. L’Isis infatti non propone soltanto un cammino interiore, ma un processo a livello giuridico . Tuttavia l’accezione che oggi assume il termine jihad per gli estremisti arabi non corrisponde al suo vero significato: quella operata dai terroristi è un’esasperazione del pilastro ideologico della fede in Allah, mentre il significato delle origine è quello di “sforzo”. Un impegno cioè basato su tre principi: la perseveranza dell’individuo musulmano nel suo sforzo di vivere secondo la legge, l’azione sociale al fine di realizzare gli ideali islamici, e, in ultimo, l’azione militare finalizzata alla protezione e all’ingrandimento della comunità islamica. Ovvero corrisponde ad una guerra interiore all’animo umano, mirata alla comprensione dei misteri della religione islamica e al miglioramento di se stessi.

Come può l’Occidente combattere il Califfato ed al contempo garantire la convivenza civile del suo tessuto sociale che nei prossimi decenni sarà necessariamente costretto ad un’armonizzazione con la cultura islamica? E per quanto riguarda la Russia?

Finora soltanto due nazioni hanno dominato le rivolte jihadiste interne: l’Impero Ottomano e l’Impero Britannico, che entrambi hanno fatto ricorso ad ingenti capitali umani e finanziari. Oggi non esiste una nazione in grado di investire così tanto denaro e neppure con la volontà politica di fermare davvero la jihad. Nella coalizione anti-Isis, infatti, vi sono due cabine di regia in aperta competizione. Teheran è la capofila del fronte filo-Assad, sostenuto anche da Mosc,a e ha una strategia tesa a combattere l’Isis senza sconfiggerlo del tutto; tenerlo in vita serve a tenere aperta la ferita nella schieramento sunnita, da sempre suo principale avversario strategico nel Golfo. La Russia combatterà finchè sarà nei propri interessi. Washington, invece, persegue la demolizione totale del Califfato, ma è a capo di una coalizione di oltre 60 nazioni non concordi su cosa fare, e come farlo, in Siria e in Iraq. Bisogna individuare un nuovo equilibrio, serve limitare la propria libertà per una maggiore sicurezza comune.

[box] “L’antidoto più efficace per frenare il jihadista o prevenirne le azioni sembra essere la famiglia.” [/box]

Qual è il più grande potere del Califfato?

Il più grande vantaggio dell’Isis nei nostri confronti è quella di riuscire ad accelerare la storia di conversione: gli immigrati di seconda generazione, nati quindi in Europa, si convertono alla causa della jihad in seguito alla semplice visione di un filmato. Ne è un fulgido esempio il caso della ragazza di Glaslow che, educata nelle migliori scuole scozzesi, decide di partire alla volta di Raqqa per fare carriera all’interno della gerarchia del Califfo. Ora controlla i bordelli delle donne-schiave, alcune anche minori di 14 anni, nella città.

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Perchè la scuola del Califfato predilige l’insegnamento dell’inglese e delle scienze a scapito delle arti e della musica?

L’Is quando conquista una città, da subito, monta grandi tende dove insegnare il Corano 24 ore su 24, comincia a distribuire pane, acqua ed elettricità, riapre le scuole e i tribunali, punta a garantirsi il consenso popolare. Dopo questa prima fase in cui si manifesta solo come una sorta di distributore di servizi religiosi e sociali, comincia la repressione totale di ogni forma di dissenso che si trasforma in pulizia etnica contro le minoranze religiose. Non è più possibile studiare musica, arte, filosofia, nonché educazione religiosa di fedi diverse dall’Islam sunnita. L’arte è infatti un’espressione di una realtà visiva differente dall’Islam delle origini. Il califfo tiene, invece, molto all’apprendimento delle lingue, lasciando intendere di voler allevare una generazione in grado di muoversi in tutto il mondo.

[box] Si serve del web per diffondere in maniera sofisticata e professionale l’invito alla jihad adoperando non solo i siti estremisti tradizionali, ma anche i social network, e riuscendo a trasformare la sua ideologia in un contagio” così Ibrahim, ricercatore della Oxford University riassume le mosse del Califfo. [/box]

Lei che vive in una zona così piena di tensioni, quali precauzioni ha scelto di adottare per sentirsi protetto?

Innanzitutto è giusto notare che io vivo nel quartiere più occidentale di Gerusalemme: la maggior parte dei nostri vicini sono americani e parlano inglese a casa. Ciò che temo di più è un attacco a sorpresa: ho infatti allestito una stanza apposita per darci riparo in caso di attacco terroristico, siamo protetti addirittura dagli attacchi chimici. Però quando penso che abito a cinque minuti di macchina dalla casa dove avevano vissuto i due attentatori fino a quando non hanno deciso di uccidere cinque persone a colpi di machete, mi rendo conto di quanto in realtà il nostro unico ed estremo baluardo rimanga sempre e comunque il prossimo, ovvero la popolazione disposta a collaborare con le forze dell’ordine. La popolazione disponibile ad aiutare a mantenere la pace tra i diversi gruppi che caratterizzano il melting pot della città Santa.

Cosa possono fare i ragazzi per combattere il Califfato?

Il compito dei ragazzi è quello di studiare l’Islam, approfondire e comprendere perchè Al-Baghdadi promuove una degenerazione della jihad. L’ideologia jihadista del Califfo è una forma di violentamento dei principi fondamentali dell’Islam. Come afferma il presidente egiziano Abdel al-Fattah al-Sisi “l’Islam ha bisogno di una rivoluzione religiosa per estirpare il pensiero assurdo di chi ritiene che 1,6 miliardi di musulmani possano portare a morte e distruzione i rimanenti 7 miliardi di abitanti del pianeta.”

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