Toccante e raggiungibile.
Il lungometraggio autobiografico “He named me Malala”, che verte sulla lotta delle donne per i diritti di cultura e studio, ha come protagonista la giovane Malala Yousafzai, premio Nobel della pace nel 2014, una ragazza come le altre ma con un grande sogno: riuscire a portare il sapere anche alle donne.
He named me Malala
Dal 2010 sul suo blog racconta la sua voglia di imparare, desiderio inconcepibile secondo i talebani, che la attaccano: pensando che l’unica soluzione per il ridurre la ragazza al silenzio sia il piombo, le sparano. E’ una giornata normale: Malala è sul pullmino che dopo pochi minuti l’avrebbe portata a scuola.
Dopo essere stata ferita da proitettili talebani, Malala sembra abbandonare i suoi obiettivi. Invece, in fin di vita all’ospedale, ritrova la speranza.
Il loro proiettile non mi ridurrà al silenzio.
Parole che sono una promessa: comincia a lottare come non mai con tutta la sua famiglia e con 66 milioni, numero non da poco, di donne e bambini senza istruzione, soprattutto con l’aiuto di suo padre, sua grande figura di ispirazione.
Con i suoi discorsi pubblici all’ONU, Malala riesce a guadagnarsi la fiducia di milioni di persone.
One child, one teacher, one book one pen can change the world.
Questa sua frase, pur essendo semplice, riesce a trasmettere l’importanza dello studio e della cultura: i primi strumenti, secondo Malala, per consolidare la pace ed evitare le guerre. Un messaggio potente, reso ancora più forte dalla giovane età della ragazza: una fantastica adolescente.
Questa pellicola riesce a sottolinea l’importanza dei diritti umani e aiuta a capire il mondo che ci circonda, con i suoi molti problemi.
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