• sabato , 20 Aprile 2024

Democrazia e demagogia: da Aristofane al referendum

di Fulvio Vallana

Dopo una interminabile rissa politica, agli italiani chiamati al voto lo scorso 4 dicembre tocca oggi il compito non facile di raccogliere i cocci della campagna referendaria, oltre che della propria pazienza. Inevitabilmente, in mezzo a questi cocci, il cittadino italiano troverà anche il disgusto suscitato da una competizione che, nascosta dietro l’etichetta passe-partout di ‘democrazia’, ha sdoganato il più basso lessico demagogico, trasformando il dibattito su un tema nobile come la Costituzione nel solito, ben noto teatrino della politica italiana. Ma, se si vuole trasformare la propria giusta indignazione in una forza costruttiva, sarà necessario uno sforzo ulteriore.

Referendum

Una lunga campagna referendaria come quella appena trascorsa ci lascia degli interrogativi legittimi sullo stato di salute della nostra democrazia. Certo, il fatto stesso che nelle case italiane si sia tornati dopo tanto tempo a parlare di Costituzione può essere incoraggiante ed è forse uno dei dati più positivi dell’intera vicenda del referendum. Tuttavia, i toni troppo spesso infimi su cui si è impostato gran parte del dibattito – in primis attraverso il tentativo bipartisan di strumentalizzare la questione costituzionale per i propri scopi politici, per rafforzare le proprie leadership e prepararsi alle elezioni – lasciano spazio al dubbio che le perdite siano state maggiori dei profitti, e che ‘democrazia’ sia finita una volta di più a fare rima con ‘demagogia’. Già il protagonista de “La giornata d’uno scrutatore” di Italo Calvino, nel 1963, si domandava se la democrazia potesse rimanere fedele ai valori della partecipazione e dell’impegno civile che l’avevano generata dopo la caduta del fascismo, giungendo alla sconsolata conclusione che essa si corrompe non appena esaurisce il suo impeto iniziale: “ricordava le sedi improvvisate dei partiti, piene di fumo, di rumore di ciclostili, di persone incappottate che facevano a gara nello slancio volontario […]; pensò che solo quella democrazia appena nata poteva meritare il nome di democrazia”.

Costituzione

Se questo è in parte vero (ed è senz’altro vero che il tempo tende a logorare nella coscienza collettiva il significato di conquiste faticosamente ottenute dopo un regime), può essere tuttavia rischioso abbandonarsi troppo al mito di un’età dell’oro della democrazia. Anche la grande democrazia ateniese del V secolo, progenitrice delle democrazie moderne, presentava storture demagogiche che rendevano il concetto di ‘potere del popolo’ piuttosto relativo. E la letteratura greca antica – spesso ben più ‘contemporanea’ della nostra – su questi temi è quanto mai esplicita: basti pensare alla descrizione impietosa dell’assemblea popolare tratteggiata dal commediografo Aristofane negli “Acarnesi”. Innanzitutto, gli ateniesi non sono per nulla impazienti di esercitare il proprio diritto di voto: nell’incipit della commedia, il protagonista Diceopoli rimane a lungo da solo ad aspettare i suoi concittadini, impegnati al mercato a farsi – letteralmente – gli affari propri. Poi, quando finalmente l’assemblea ha inizio, si susseguono sulla scena finti ambasciatori e imbroglioni di ogni sorta, inviati dai potenti della città per manipolare la volontà del popolo. Ora, nel quadro di una democrazia forte come quello che potremmo immaginarci di trovare nell’Atene antica, i cittadini dovrebbero reagire, cacciando i demagoghi e prendendo autonomamente decisioni nell’interesse dei molti e non dei pochi (secondo quel modello ideale di democrazia presentato da Pericle nel racconto di Tucidide). E invece i cittadini rappresentati da Aristofane sono dei kechenaioi, ovvero “quelli che se ne stanno a bocca aperta” ad ascoltare passivamente ogni assurdità che viene propinata loro dai demagoghi.
Le commedie aristofanee, scritte nella culla stessa della democrazia, ci mostrano così sotto una luce chiarissima il paradosso e la sfida in cui ogni sistema democratico si dibatte fin dalla sua origine: la salute del sistema non può cadere dall’alto ma deve partire dal basso, ovvero da cittadini consapevoli e critici, messi in grado cioè di difendersi dalla pressione dei demagoghi di ogni colore politico.

Aristofane
Se la realizzazione completa di un simile progetto può apparire utopica, ci si potrebbe almeno cominciare a mettere nella giusta direzione, rispolverando parole-chiave come istruzione, formazione, pensiero che la nostra società, ossessionata dall’idea di produrre e produrre in fretta, reiteratamente trascura. Certo, per farlo bisogna mettere da parte le soluzioni rapide e prepararsi invece a investire molti soldi e molto tempo. In altri termini – checché ne dicano alcuni – non ‘basta un sì’ e – checché ne dicano gli altri – nemmeno un ‘click’.

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