• giovedì , 28 Marzo 2024

Liceo classico, palestra del pensiero

Un paese che vuole vivere ha il dovere di sapere prima di tutto dove già eccelle“. Parole sante, quelle di Nicola Gardini in uno dei suoi articoli pubblicati su “Il Sole 24 Ore”. Nelle ultime settimane, nell’occhio del ciclone dell’opinione pubblica italiana c’è stata la denuncia di 600 professori universitari, secondo cui “i giovani non sanno più scrivere”(approfondimento nel box). Da questo allarme è riesplosa la polemica sull’organizzazione dell’istruzione e sull’utilità oggi incompresa del greco e del latino, vista la progressiva diminuzione delle iscrizioni al liceo classico. Temutissimo, rigoroso, riservato a pochi eletti. Sono questi gli appellativi riservati a uno dei pilastri del sistema scolastico italiano, unico nel suo genere in tutto il mondo, con la consueta domanda: “Ma a cosa serve frequentare il classico?”.

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Questa e moltissime altre domande hanno ottenuto un’esauriente risposta durante il dibattito sul liceo classico, organizzato dall’Associazione Italiana di Cultura Classica nella Sala Congressi della Banca Intesa SanPaolo, il 2 marzo scorso. Sono intervenuti, oltre al professor Renato Uglione, Paola Mastrocola, scrittrice e insegnante e il marito Luca Ricolfi, sociologo all’Università di Torino.

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Secondo la Mastrocola non è vero, socialmente parlando, che il classico sia una scuola di élite, perché non lo è mai stato, ma lo sta diventando a causa della scarsa preparazione impartita dalle scuole elementari e medie. Lo studio del latino è talmente fondamentale da dover essere inserito nei programmi della scuola dell’obbligo: è alla base della retorica e della capacità di parlare che, come docente di letteratura italiana, da quindici anni non riesce più a insegnare. Bisognerebbe tornare a concentrarsi sullo studio dell’analisi grammaticale e logica, ossatura dei discorsi, prerogative primarie del greco e del latino.

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La modernità non è uno svantaggio per il liceo classico, ma una facilitazione. Dal momento che il greco e il latino sono due lingue “morte”, si può mettere da parte l’aspetto comunicativo e prediligere la struttura logica. Chi traduce una versione è come un medico che analizza una TAC: bisogna capirne prima l’ossatura, poi si può conoscerne l’autore, lo stile, le peculiarità e solo dopo la bellezza, il fine ultimo. Nemico, invece, è lo stile di vita odierno, la società del “tutto e subito”, tra divertimento e intrattenimento. Prima, tutti aiutavano la scuola e la sostenevano in tutte le sue sfaccettature: genitori, presidi, allievi. Oggi, invece, è necessario rendere tutto più semplice, in vista di una vita sempre più volta alle comunicazioni sociali. Per la scrittrice, quindi, esiste la necessità di conciliare il mondo che cambia alle nostre radici culturali: il liceo classico è un comò antico, non da buttare via o rimodernare, ma da integrare come merce preziosa in una casa con arredamento moderno.

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Luca Ricolfi descrive la sua esperienza tra le mura dell’università. Vede situazioni che tutti vedono, ma che pochi riconoscono: l’uomo, infatti ha la capacità di autoingannarsi, cioè raccontarsi ciò che attenua le sue paure. Bisognerebbe però reagire. I ragazzi di oggi non sanno parlare, distinguere, ricordare o astrarre, sono più veloci nei compiti standardizzati, ma più lenti nella ricerca, incapaci di progettare un oggetto cognitivo complesso. E’ presente una differenza abissale tra gli studenti bravi e i modesti, simile a quella tra uno studente universitario e un bambino di otto anni. Chi annacqua i vini e li vende è accusato di falsa certificazione: lo stesso discorso vale per la scuola che, riconoscendo competenze a chi realmente non ne ha, permette che diventi un medico, un avvocato o un ingegnere.

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C’è però un dato molto interessante. Alla fine di ogni esame il professore chiede agli studenti quale scuola abbiano frequentato: in media vanno male i ragazzi provenienti da licei artistici, psicopedagogici o linguistici. Il profilo dello studente modello è il seguente: ragazza, visto che il genere femminile ha un rapporto migliore con lo studio; proveniente dalla provincia, dove gli istituti scolastici sono meno moderni, e studentessa del liceo classico. Hanno sviluppato, grazie alla scuola “difficile”, una capacità di organizzazione mentale che permette loro di meritarsi gli unici 30 e lode in analisi dei dati. Lo studio del greco e del latino è come imparare a suonare uno strumento musicale: un processo lungo, lento e tortuoso, che però regala grandi soddisfazioni.

Il liceo classico non è quindi una minaccia, ma una risorsa. L’unico corso di studi che, attraverso l’analisi di fatti, comportamenti e pensieri cronologicamente lontani, permette la formazione di uomini e donne pienamente consapevoli del proprio essere e del futuro che li attende.

Il problema sta alla radice: il motivo per il quale molti ragazzi non sanno scrivere correttamente parte dall’insegnamento a loro impartito; i loro insegnanti, laureati in Lettere, non saranno mai in grado di insegnare ad altri ciò che loro stessi non sanno fare. Arrivati all’università, si presuppone che siano ben fondate (o quantomeno presenti) le basi del saper scrivere, evitando errori appena tollerabili in terza elementare. Purtroppo, però, come riscontrato nella lettera scritta da 600 professori universitari, “i giovani non sanno più scrivere”. Un motivo ulteriore potrebbe essere l’eventuale variante per la seconda prova di maturità al classico, proposta da Maurizio Bettini: “la singola traduzione è diventata obsoleta, inutile e dannosa”, quindi si pensa di integrarla con contestualizzazione, commento e domande chiuse e aperte. Chi ha sperimentato in prima persona, o sta frequentando ora, un percorso di studi classici di qualità (ore ben spese in classe, con uno studio personale adeguato) difficilmente troverà un senso nell’assurda presa di posizione del filologo. Si tratta infatti di ciò che viene già insegnato e verificato attraverso studio degli autori e della letteratura antica.

Paola Mastrocola, e con lei gli altri sostenitori della “scuola difficile”, si interrogano su quali possano essere delle possibili alternative alle sole materie capaci di strutturare la logica dello studente in modo così profondo. Le materie scientifiche non sono certo da meno quando si parla di ragionamenti complicati, hanno infatti acquisito importanza anche al liceo classico, ma richiedono competenze e seguono percorsi logici che non possono sostituire quelli delle lingue del greco e del latino, sotto certi punti di vista anch’esse scienze, che richiedono sforzo e tempo, ma che con la loro difficoltà (e con le altre materie) sono rimaste le ultime ad insegnare la disciplina dello studio.

di Federica Miglietta e Paola Amoruso

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