• sabato , 20 Aprile 2024

L’insostenibile fragilità dell’essere

Fra-gi-li-tà.

Sembra una matrioska russa: lo scontro consonantico iniziale, la dolcezza del suono “gi” e della liquida, l’accento posto sul finale come un ictus. Riassume perfettamente la varietà di questo modus essendi. Un colpo disturba la quiete della nostra vita immacolata e boom! qualcosa si frantuma. Una piccola crepa, destinata a diventare un mostro all’interno della fisionomia perfetta dell’uomo di vetro.

Ogni nostro gesto è volto a nasconderci. Mostrare una reazione che non è possibile controllare è un peccato. O una vanità. Basta guardare i programmi televisivi: il momento massimo dello share si verifica quando vengono raccontati episodi strappalacrime o disgrazie. La sovraesposizione tramite mass media di ogni istante della vita umana può portare dunque a un’idolatria della diversità.

Il messaggio di questa concezione manichea della realtà è però il medesimo: è accettato tutto ciò che permette di ricavare profitto. Una società in cui si esaltano uomini e donne privi di ogni tipo di valore fondante, ma grandi trascinatori di masse e si condannano i deboli, costringendoli, ad esempio, a rimanere al freddo, a largo di un porto italiano perchè “ci rubano il lavoro”. La logica dell’ “homo faber quisque fortunae suae” è quindi cartina tornasole di un equilibrio profondamente precario, dove occorre semplicemente portare una maschera d’argento che rifletta il mantra che il mercato vuole sentirsi ripetere: ciò che conta davvero è come si appare e non come si è.

Ricorda quasi l’anziana donna della riflessione umoristica pirandelliana, costretta a truccarsi e vestirsi in maniera giovanile per celare gli anni che passano e piacere al marito più giovane.

Riferimento che fa capire quanto l’arte sia l’unico frangente dell’animo umano in cui si possa dire la verità. Tanti autori hanno fatto della propria fragilità il motore verso una realizzazione completa. Pascoli trasforma i suoi sensi di colpa per la morte del padre in struggenti composizioni poetiche; Baudelaire, invece, la sua dipendenza da sostanze stupefacenti in un veicolo per mostrare al mondo altre dimensioni in cui essere pienamente sé stessi. Pasolini ha reso invece la sua voce così flebile un irruente mezzo di denuncia. Spesso non si viene compresi subito: è il caso di Mia Martini, il cui rapprto da sempre travagliato con il genere maschile e la sua autoaccettazione, che hanno contribuito alla sua produzione artistica, sono stati, a suo tempo, strumentalizzati contro di lei, fino a condurla al suicidio.

E’ una cerchia di casi fortunati. Questo perchè per essere sé stessi ci vuole “tanto troppo coraggio“, direbbe De André.

Ma se è vero ciò che sostiene D’Avenia nel suo saggio “L’Arte di Essere Fragili”, e cioè che l’arte si fa portavoce di tutto ciò che l’uomo rischia di dimenticare, allora dovremmo iniziare a domandarci cosa sia davvero la fragilità. E’ semplice: basta guardare negli occhi dell’altro. Osservando con attenzione, non solo si vede quanto siano diverse e profonde le ferite che assillano ogni uomo, ma soprattutto la vicinanza alle nostre. E non esiste alcuna differenza culturale, sociale ed economica. Siamo solo esseri di una semplicità disarmante, visti nella propria viscerale essenza.

Il mondo non deve essere concepito come un utile, ma come una possibilità da cui attingere per la propria crescita personale e collettiva. Infatti, solo se si pensa alla comunità come a un puzzle, di cui ognuno è un pezzo fondamentale, si riuscirà a comporre l’immagine del futuro. Per poter avere tutti i colori, però, non bisogna dimenticare la fragilità, che ci rende più consapevoli della nostra unicità. E porta alla pace con noi stessi, sola via possibile per raggiungere la serenità.

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