• martedì , 16 Aprile 2024

La diversità nel quotidiano

di Federica Rolle

Un bambino di sette anni affetto da autismo è stato rifiutato dalla famiglia nella quale è nato e sempre vissuto fino a quell’età e il tribunale si è trovato costretto a ricercare una struttura specializzata alla quale darlo in affidamento.

I temi che la notizia apre sono molteplici.

Il primo, scontato, è indubbiamente il profondo senso di condanna morale dei genitori da parte sia delle istituzioni che dell’opinione pubblica, sempre notoriamente pronta, specie sui social media, a giudicare i comportamenti altrui, senza conoscerne davvero le realtà.

Certo, colpisce e non può non vedersi come riprovevole l’abbandono di un figlio, per giunta non dalla nascita, alla scoperta di un grave handicap, che la legge italiana consente, bensì l’allontanamento di un figlio che è vissuto sette anni nella sua famiglia d’origine.

L’autismo è un disturbo dello sviluppo neurobiologico e viene comunemente considerato una grave forma di handicap mentale, anche se la sua caratteristica è data da una gamma vastissima di manifestazioni della patologia, che può assumere gravità molto diverse.

Il fatto deve però essere analizzato anche da un altro punto di vista, non meno importante, che porta a chiedersi quale supporto, quale aiuto, quale assistenza alle famiglie con figli portatori di handicap gravi, come talora l’autismo, fornisca lo Stato, che pure oggi si affretta a condannare i due genitori.

Vi è da chiedersi se non sia davvero possibile che quei genitori si siano trovati in una situazione di disperazione per mancanza di qualunque sostegno da parte delle istituzioni pubbliche, pur amando e volendo bene al proprio figlio.

Un approccio più attento al fenomeno porta allora a scoprire che la realtà quotidiana vissuta dalle famiglie con un figlio colpito da gravi forme di autismo è decisamente difficile.

Non è difficile allora provare a immedesimarsi nella disperazione di questi genitori, nella devastazione interiore che una scelta del genere comporta ed allora nasce addirittura un velato senso non solo di comprensione umana, ma quasi di solidarietà intima con queste persone, che finisce per capovolgere il giudizio morale frutto di un accostamento superficiale al caso e ai suoi risvolti.

Il cinema ha dedicato al delicato tema dell’autismo il celeberrimo film “Rain man” con la superba interpretazione di Dustin Hoffman e Tom Cruise; gli esperti ammoniscono tuttavia che cinema e letteratura tendono a trattare il problema in una versione – è il caso di dire – edulcorata, in cui la persona autistica viene presentata essenzialmente come una sorta di genio con doti intellettive enormemente superiori alla media, come – tipicamente – una capacità di calcolo straordinaria, sempre con un lieto fine nelle sue vicende e nelle relazioni con gli altri, ma ciò contrasta inesorabilmente con la realtà.

Grande è infatti il problema dell’accettazione nella società del diverso, come può essere visto l’autistico, soprattutto se giovane da parte dei coetanei, indotti a sentirsi almeno interiormente superiori, quando non ad atteggiamenti anche esteriori di vero e proprio bullismo verso un soggetto considerato debole ed inferiore.

Vi è da augurarsi che un lieto fine possa giungere anche per la storia vera dei nostri giorni che il giornale ci racconta; la conclusione felice che tutti vorremmo sentir riportare sarebbe di una struttura sociale che abbia aiutato nel concreto i due genitori in difficoltà ad affrontare la quotidianità del difficile rapporto con il figlio che il destino ha loro dato così ed abbia permesso loro di riabbracciarlo dentro la sua famiglia, che rappresenta sempre il più alto valore per l’umanità.

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