• venerdì , 19 Aprile 2024

La pena di morte uccide la civiltà

di Isabella Inzani

Sin dalle comunità più antiche era in uso la pena di morte. La prima testimonianza scritta dell’uso di questa pena la troviamo nel Codice di Hammurabi, codice stabilito dal monarca babilonese omonimo (1750 a.C. circa). Molte civiltà nel corso della storia adottarono la pena di morte, solitamente applicata in modo oggettivo e inflitta per crimini quali il furto, omicidio, sacrilegi e delitti di lesa maestà.

In Italia la pena capitale fu abolita con la nuova Costituzione della Repubblica Italiana, entrata in vigore il 1o gennaio 1948. Non tutto il mondo, come l’Italia, ha abolito questa pena; infatti in alcuni paesi quali Cina, Bielorussia, India, Giappone, Corea del Nord, Iran e gli Stati Uniti d’America è ancora in vigore e viene applicata per omicidio, distruzione di velivoli, spionaggio, tradimento e traffico di grandi quantitativi di droga. La morte del colpevole può avvenire in modi differenti: l’iniezione letale è la più diffusa in America e consiste nell’introduzione per via endovenosa di sostanze provocanti l’arresto cardiaco. Altri metodi usati per giustiziare i condannati sono l’impiccagione, la fucilazione, il colpo alla nuca, la decapitazione, la lapidazione, la camera a gas, la sedia elettrica e la caduta nel vuoto.

Per molti l’uccisione volontaria di persone, nonostante possano essere criminali, è un mancato rispetto verso il valore della vita umana. Sono nate molte organizzazioni per la difesa dei diritti umani, una di queste è la Amnesty International. Questa associazione è un’organizzazione non governativa internazionale con lo scopo di promuovere, in maniera imparziale, il rispetto dei diritti umani sanciti nella Dichiarazione universale dei diritti umani. Per l’Amnesty International le condanne a morte sono diminuite del 5% rispetto all’anno scorso; questa percentuale però non tiene conto della Cina, lo Stato in cui si eseguono più ssentenze capitali.

Una ragione per cui la Cina potrebbe tenere segrete queste informazioni è l’esistenza continua dei processi sommari; infatti la pena capitale rimane una condanna irrevocabile che non offre una seconda possibilità al condannato. Per quanto un processo possa essere svolto al meglio e con oggettività, l’uomo è per sua natura fallace e non dovrebbe avere il potere di togliere la vita di un individuo senza offrirgli un’altra possibilità per scontare la sua pena.

Più volte è capitato che il condannato fosse innocente: nel 1944 un ragazzino di 14 anni, George Stinney, fu condannato alla pena capitale su basi razziste e dichiarato poi, dopo la su la morte, innocente. Decidere di togliere la vita di un altro individuo, anche in modo legale, vuol dire diventare assassini a nostra volta. Nessuno su questa terra dovrebbe decidere se impossessarsi o risparmiare la vita di un individuo che ha commesso un reato. Molto più efficace sarebbe fargli scontare anni di galera accompagnati da un supporto psicologico in modo da aiutare ed educare il colpevole per un nuovo inizio dopo la galera. Gli individui che compiono reati, anche gravi, non sono solo persone cattive di cui la società si deve sbarazzare. Ci deve essere un percorso di reinserimento nella società attraverso lavori socialmente utili.

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