• mercoledì , 24 Aprile 2024

La casa degli sguardi

di Verdiana Parisi

Roma.

1995.

All’età di vent’anni Daniele Mencarelli si rende conto che la vita è dura, che deve combattere per non sentirsi soffocato da una realtà che gli sta stretta: è oppresso da un affanno sconosciuto, da una voglia di risposte che non riesce ad essere placata, ma soprattutto sente il bisogno di un significato nella vita, di trovare il senso delle cose, potente come un istinto. Sente la propria fragile esistenza priva di uno scopo e trova allettante la proposta di evasione dalla realtà che gli offre l’alcool, tanto da sceglierlo come compagno di vita per lunghi anni. Affoga ogni giorno di più in una dimensione illusoria, estraniante per non stare a guardare inerte un mondo pregno di dolore e sofferenza, per l’incapacità di gestire le paure della vita, della morte e dell’amore che non è fatto per scomparire nel nulla, non è fatto per la morte.

Daniele però, un ragazzo costretto a soccombere alle proprie fragilità, viene messo di fronte a ciò che più teme: il dolore, la sofferenza allo stato più puro. È grazie ad un amico scrittore che comincia a risalire il baratro nel quale si era nascosto dalla vita, ottenendo un lavoro come operaio nell’ospedale pediatrico “Bambino Gesù” di Roma, forse il luogo meno adatto al suo essere. Lì si trova costretto a scontrarsi con una realtà che non sembra essere umana, scopre la vita di bambini segnati dalla malattia, una malattia che si accanisce contro di loro davanti agli occhi impotenti e allo stesso tempo pieni di speranza dei genitori. Una domanda non può che sorgere spontanea in un animo così tormentato: “Perché, se la sofferenza pare essere l’unica legge che governa il mondo, vale comunque la pena di vivere e provare a costruire qualcosa?”.

Si può chiamare caso o destino o provvidenza ma comunque sia “lì dove il male si compie nella sua forma più immonda” Daniele riscopre l’essenza della vita negli squarci di inattesa bellezza che incontra nell’ospedale, riconosce la realtà come portatrice di bellezza, trova la salvezza nell’esercizio quotidiano dell’amore. Perché il dolore non è l’unica grande presenza all’interno del “Bambino Gesù”, l’amore sovrasta ogni cosa.

Grazie a quello che l’autore stesso definisce un percorso di rinascita è riuscito a tornare a scrivere, ma ora lo fa per un bisogno più grande che per un semplice sfogo: per il dovere di testimonianza verso quella grandezza che ha scoperto, perché scrivere è mettersi al servizio di qualcun altro e Daniele Mencarelli sente dentro la propria storia la storia di tutti.

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