• martedì , 19 Marzo 2024

Kant e Leopardi, due vittime dei loro tempi

Il 1800, secolo di cambiamento e d’innovazione letteraria e culturale, vide nascere nuove menti che incisero in modo netto nel modo di pensare dell’epoca.

Leopardi, esile e di corporazione debole, mise l’uomo davanti alla dura realtà. La vita è male. L’uomo è destinato alla sofferenza e le illusioni velano solo momentaneamente la consapevolezza della condizione umana. Seppur vane, le illusioni sono ciò che portano l’uomo a non commettere l’atto titanico di Jacopo Ortis. Leopardi si sentiva profondamente a disagio nei confronti della propria epoca e della società in cui si trovava. Lottava nella speranza di poter raggiungere quel piacere fisico che risultava impossibile da ottenere. L’uomo secondo Leopardi si trova a fare i conti con una natura che gli è indifferente, se non, addirittura, avversa. Nonostante si cerchi in qualsiasi modo di contrastarla avrà sempre la meglio. 

Kant con il suo “devi perché devi” filosofando intorno alla morale, pronunciò anche i postulati considerati come l’unica soluzione per congiungere la virtù e la felicità. In quanto proposizioni indimostrabili ma necessarie per la completa funzionalità della morale, i postulati sono fondamentali per rispondere alle esigenze morali dell’uomo. Egli non è in grado di vivere contemporaneamente in modo virtuoso e felice in quanto la moralità non porta necessariamente alla felicità. L’uomo vive dunque in una situazione di continua sofferenza che viene dunque risolta dai postulati.

Il vero punto d’incontro tra loro fu una purissima tensione morale alla felicità, che ad entrambi faceva levare gli occhi alla stelle e l’animo all’ignoto. Comprendendo la finitudine dell’essere umano, sia Kant che Leopardi posero le illusioni e i postulati come unica soluzione per affievolire momentaneamente la sofferenza umana.

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