Il 1800, secolo di cambiamento e d’innovazione letteraria e culturale, vide nascere nuove menti che incisero in modo netto nel modo di pensare dell’epoca.
Leopardi, esile e di corporazione debole, mise l’uomo davanti alla dura realtà. La vita è male. L’uomo è destinato alla sofferenza e le illusioni velano solo momentaneamente la consapevolezza della condizione umana. Seppur vane, le illusioni sono ciò che portano l’uomo a non commettere l’atto titanico di Jacopo Ortis. Leopardi si sentiva profondamente a disagio nei confronti della propria epoca e della società in cui si trovava. Lottava nella speranza di poter raggiungere quel piacere fisico che risultava impossibile da ottenere. L’uomo secondo Leopardi si trova a fare i conti con una natura che gli è indifferente, se non, addirittura, avversa. Nonostante si cerchi in qualsiasi modo di contrastarla avrà sempre la meglio.
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Kant con il suo “devi perché devi” filosofando intorno alla morale, pronunciò anche i postulati considerati come l’unica soluzione per congiungere la virtù e la felicità. In quanto proposizioni indimostrabili ma necessarie per la completa funzionalità della morale, i postulati sono fondamentali per rispondere alle esigenze morali dell’uomo. Egli non è in grado di vivere contemporaneamente in modo virtuoso e felice in quanto la moralità non porta necessariamente alla felicità. L’uomo vive dunque in una situazione di continua sofferenza che viene dunque risolta dai postulati.
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Il vero punto d’incontro tra loro fu una purissima tensione morale alla felicità, che ad entrambi faceva levare gli occhi alla stelle e l’animo all’ignoto. Comprendendo la finitudine dell’essere umano, sia Kant che Leopardi posero le illusioni e i postulati come unica soluzione per affievolire momentaneamente la sofferenza umana.