• venerdì , 26 Aprile 2024

Un viaggio nell’iconografia dantesca

Dante ha da sempre affascinato i suoi lettori, a cominciare dai suoi coevi. Il celeberrimo poeta fiorentino desta nel pubblico il desiderio di approfondire la sua conoscenza, in primis attraverso le immagini. Di qui sorge la necessità di individuare un’iconografia dantesca interamente dedicata al padre della letteratura italiana.

Le illustrazioni dantesche si stabiliscono fin dal principio sulle indicazioni del suo aspetto fisico basate sulle brevi allusioni che si trovano nell’opera di Dante stesso e, in particolare, in una precisa descrizione del Boccaccio. Quest’ultimo letterato, a sua volta, non avendo mai conosciuto Dante, attinse subito dopo la sua morte indicazioni e commenti di prima mano da coloro che lo avevano incontrato o frequentato. Egli ci presenta dunque l’immagine dell’ultimo Dante e lo descrive come un uomo di “mediocre statura” e gobbo a causa dell’età. Prosegue poi con la descrizione del viso lungo, del naso aquilino, dei capelli e della barba spessi, neri e crespi e degli occhi grandi, che gli conferivano l’aria malinconica. Quando nel maggio del 1865 si ritrovarono per caso quelle che la tradizione identifica come le ossa del sommo poeta, furono confermate le affermazioni del Boccaccio sia riguardo alla statura, sia alla figura e all’aspetto del volto del poeta.

Uno dei dipinti più famosi risale al 1465 ed è conservato in Santa Maria del Fiore a Firenze. L’affresco del pittore italiano Domenico di Michelino è stato realizzato in occasione della celebrazione dei 100 anni dalla nascita di Dante. L’opera pittorica è conosciuta come La Divina Commedia illumina Firenze oppure come La Divina Commedia di Dante Alighieri. Essa raffigura Dante con una copia della sua Commedia tra le mani e come sfondo i tre mondi ultraterreni narrati. In particolare, alla nostra sinistra si possono chiaramente discernere gli ignavi, mentre alle spalle del poeta, le anime dei purganti e, sopra, il cielo nel quale ci sono i beati. Alla nostra destra, invece, si può individuare uno scorcio sulla città di Firenze, riconoscibile grazie alla presenza della sua inconfondibile cupola, all’interno della quale, tra l’altro, è conservato proprio questo affresco.

La Divina Commedia illumina Firenze ( o La Divina Commedia di Dante Alighieri), Domenico di Michelino, Santa Maria del Fiore, Firenze, 1465

Altresì noti nell’ambito dell’iconografia dantesca sono i 100 disegni su pergamena commissionati al noto pittore rinascimentale Sandro Botticelli da un cugino di secondo grado di Lorenzo il Magnifico. I Disegni per la Divina Commedia conosciuti sono in totale 92, ma l’unico completato è quello che introduce i Canti dell’Inferno, cioè La voragine infernale (o Pianta dell’Inferno). Qui l’artista rappresenta in modo molto suggestivo l’inferno come un grande imbuto, ricco di particolari architettonici e figure miniaturizzate. L’intera opera è un continuum narrativo, cioè una sorta di acuta anticipazione della modalità di sequenza cinematografica che racconta il viaggio letterario e filosofico di Dante. Infatti, risulta evidente che quest’ultimo, insieme al magister Virgilio, compia un vero e proprio viaggio nell’aldilà, che Botticelli ci illustra passo per passo.

La voragine infernale (o Pianta dell’Inferno), Sandro Botticelli, Vaticano, 1480-1495
La voragine infernale (o Pianta dell’Inferno), Sandro Botticelli, Vaticano, 1480-1495

Nel corso dei secoli si sono susseguite diverse edizioni della Divina Commedia. Tra quelle illustrate, la più famosa è senza ombra di dubbio quella del pittore e incisore francese Gustave Doré. La sua particolarità consiste nel presentare le sue illustrazioni monocromatiche avvalendosi della tecnica del chiaroscuro. Le sue incisioni risultano molto tecniche e lo scopo è quello di “far vedere” al lettore ciò che Dante racconta in divini versi.

Caronte, Gustavo Doré, 1861

Un altro grande artista coinvolto nelle rappresentazioni di Dante fu Salvador Dalì. Le illustrazioni per la Divina Commedia gli vennero commissionate in occasione del settecentesimo anniversario della nascita dell’illustre poeta. Suggestiva è l’interpretazione di Dalì del primo canto dell’inferno. Egli infatti pone al centro della scena un Dante “uomo” che, smarrito, è alla ricerca della retta via. Questa versione del poeta allegoricamente potrebbe rappresentare l’intera umanità, la quale, dotata di libero arbitrio, scruta l’orizzonte investigando una via da percorrere.

Canto I Inferno, Salvador Dalì, 1963

L’amore più intenso è collocato all’inferno ed è presentato attraverso la passione di Paolo e Francesca nel cerchio dei lussuriosi. Ai due amanti è dedicato molto spazio nel racconto; Dante infatti racconta la vita di entrambi giungendo poi alla triste conclusione della vicenda, che termina con il loro assassinio confermato dalla celebre terzina “Amor condusse noi ad una morte: Caina attende chi a vita ci spense”. Questo drammatico episodio ha attirato anche l’attenzione di Gaetano Previati, illustre pittore italiano di fine XIX secolo, che lo esplicitò in arte pittorica diverse volte durante gli anni. Il primo tentativo risale al 1887, in un momento in cui l’artista stava attraversando la fase della Scapigliatura. E’ lapalissiano il riferimento al dramma teatrale del secondo Romanticismo. Infatti, sembra che i due corpi siano stati trafitti, in un solo colpo, dalla stessa spada. Dopo qualche anno, Previati si cimenta nella rielaborazione del medesimo argomento. Tuttavia, nel disegno del 1909 alla precisa descrizione delle forme ben delineate, viene preferita un’esposizione in chiave di evocazione emozionale. Difatti, le anime dei due dannati sono avvinghiate in un vortice passionale che sembra essere infinito.

Paolo e Francesca, Gaetano Previati, Accademia Carrara, 1887
Paolo e Francesca, Gaetano Previati, Galleria Civica d’Arte Moderna, Ferrara, 1909

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