• venerdì , 29 Marzo 2024

Personaggi in cerca d’autore: Federico Fellini

Un artigiano che non ha niente da dire, ma sa come dirlo”, era così che Federico Fellini amava definirsi, modestia a parte, artigiani che sanno dire le cose come lui non ce ne sono più. Egli è stato uno dei registi più significativi della storia del cinema, candidato per ben 12 volte al premio Oscar e vincitore per 5 volte, vincitore di 6 David di Donatello, 12 “Nastri d’argento” e una “Palma d’oro”.

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I suoi film sono girati con una leggerezza narrativa che incarna la visione che Fellini stesso ha della vita. Egli infatti è riuscito a rendere tangibile il lato onirico della vita sullo schermo cinematografico, rendendo quasi invisibile quel sottile confine tra realtà e fantasia, senza mai però eliminare il realismo delle sue trame. Un regista che si è imposto al mondo come pochi altri, non solo italiani, recuperando, da un lato, il neorealismo e inventando, dall’altro, un suo universo fantastico che riprendeva spesso la sua autobiografia e la stravolgeva nelle storie e nei personaggi che creava.

Federico Fellini nasce a Rimini il 20 gennaio del 1920, primo di tre figli di un rappresentante di generi alimentari e di una casalinga. Nel capoluogo romagnolo, al quale rimarrà sempre legato, trascorre un’infanzia tranquilla, ma anche avvolta nel mistero e resa leggendaria dai suoi stessi racconti a metà tra finzione e realtà: una rocambolesca fuga per seguire i clown del circo, una serie di vagabondaggi insieme alle compagnie degli artisti di varietà e altri episodi molto suggestivi, ma decisamente poco probabili

Di certo c’è che Federico frequenta il liceo classico della città e inizia fin da ragazzino a lavorare come caricaturista per il gestore del cinema “Fulgor”, che gli commissiona i ritratti degli attori più famosi per appenderli in sala. Già da ragazzo infatti, attraverso caricature e vignette dei professori, rivela un grande talento nel disegno, tanto che inizia una collaborazione con la prestigiosa rivista “La domenica del Corriere”. I suoi compagni di scuola lo descrivono come un inguaribile sognatore, attentissimo però a chi gli sta intorno.

Nella sua camera da letto aveva costruito con la fantasia un mondo inventato, nel quale immaginava di ambientare le storie che voleva vivere, raccontare e vedere al cinema. Fellini, infatti, fin dall’età di sedici anni, mostra una grande attrazione per il cinema: dirà lui stesso che da ragazzo usciva di casa senza permesso dei genitori ed entrava nei cinema nella sua città, anche se a quell’età non pensava ancora di fare il regista, ma l’illustratore. Nel 1939 Fellini si trasferisce a Roma dai parenti della madre con la scusa di frequentare l’Università, anche se in realtà il suo vero desiderio è quello di riuscire a diventare giornalista.

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Dopo pochi mesi infatti lascia la facoltà di giurisprudenza per dedicarsi completamente all’attività di disegnatore satirico. Diventa autore di diverse rubriche, tra le quali anche delle celebri “Storielle di Federico”, che lo fanno diventare una firma di punta della rivista satirica romana “Marc’Aurelio”. Ma questi sono anche gli anni in cui Fellini fa il suo ingresso nel travolgente ambiente culturale romano, inizia a fare conoscenza con personaggi dell’avanspettacolo, a quel tempo già noti, come il regista Erminio Macario, al quale dà spunti per qualche copione e il famoso comico, poi suo grande amico, Aldo Fabrizi, per il quale scrive battute per degli spettacoli.

Pochi anni più tardi inizia a scrivere anche per la radio, soprattutto piccoli drammi leggeri e comici, di cui era interprete Giulietta Masina, sua musa ispiratrice e colei che qualche anno dopo sarebbe diventata sua moglie e compagna per tutta la vita. In seguito i due avrebbero avuto un solo figlio, che sarebbe morto tragicamente un mese dopo il parto. Ma torniamo a noi: agli inizi degli anni Cinquanta Fellini era pronto per il grande salto dietro alla macchina da presa. Insieme ad Alberto Lattuada, di cui era amico e collaboratore, diresse “Luci del varietà”, film di scarso successo che aveva come oggetto il mondo dell’avanspettacolo di cui lui stesso faceva parte.

Simbolicamente era incominciato il suo lungo cammino come regista, così come era iniziato il suo viaggio tra i ricordi di gioventù, dai quali ricavava scene quotidiane e numerosi “calchi” per i suoi personaggi. Proprio sulla base dei suoi ricordi, che modellava in base alla scena con accenti grotteschi ed elementi poetici, gira i film successivi: “Lo sceicco bianco”, sul mondo dei fotoromanzi, “I vitelloni”, incentrato sulla sua giovinezza a Rimini, film con ottimi incassi in Italia ma anche all’estero. “La strada”, la storia di due mediocri artisti di strada nell’Italia del dopoguerra. Proprio per questo film l’Academy istituisce l’oscar al miglior film straniero. Poi ancora altri modesti successi come “Il bidone”, la tragica avventura di un truffatore e “Le notti di Cabiria”.

Nonostante il raggiungimento del tanto agognato successo Fellini è tormentato: ad ogni film nell’animo del regista si fa sempre più strada quell’irrequietezza e la depressione che gli saranno sempre accanto. Ma la sua grande svolta artistica arriva nel 1960, anno storico dell’uscita nelle sale di “La dolce vita”, capolavoro assoluto del regista che si basa sull’esperienza autobiografica dell’impatto che ha avuto lo stile di vita romano sul giovane Fellini. Ma c’è di più: dal modo in cui Fellini riesce a rappresentare un aspetto rivelatore dell’Italia del miracolo economico, quello della vita dispersiva e dispendiosa, superficiale, tra feste, amici, incontri casuali e amori fuggevoli, senza spessore e moralità nasce un enorme scandalo.

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Fellini entra nel suo periodo d’oro, da un successo ne nasce un altro. Infatti, dopo “La dolce vita” arriva “8 e mezzo”, che, come dice il titolo, è il suo ottavo film con un intermezzo antologico scritto dallo stesso regista. Questa pellicola diventerà una delle più famose ed apprezzate di tutta la sua produzione. Dopo “8 e mezzo” il suo interesse per il soprannaturale e il suo stile si sviluppano in film dal contesto drammatico, come “Giulietta degli spiriti”, che riprende il discorso femminile dei film con Giulietta Masina. Il “Satyricon”, che reinterpreta il romanzo latino di Petronio in chiave moderna. “Roma”, un omaggio alla città da lui amata e odiata. “Amarcord”, in romagnolo “mi ricordo”, che conclude il lungo cammino della esplorazione della propria autobiografia, un film che ha al centro la forza della memoria individuale e collettiva, ma nel quale emerge anche il bisogno di fare il punto sulla propria esistenza. 

Di qui in poi, nei suoi ultimi film e nei suoi ultimi anni di vita, c’è una progressione verso il pessimismo, la sfiducia non solo nella società e nelle sue regole, ma nell’uomo stesso. Lo si vede nel “Casanova”, biografia fantastica del grande amatore settecentesco, in “Prova d’orchestra”, metafora dell’anarchia e della perdita dei valori sociali, in “E la nave va”, un viaggio su un transatlantico che si trasforma nel simbolo della fine del mondo, la distruzione umana dell’uomo e in “Ginger e Fred”, doppio ritratto struggente di due vecchi ballerini impossibilitati a vivere nella ‘società’ televisiva, da cui sono esclusi i sentimenti autentici. Ed infine in “La voce della luna”, suo ultimo grande film, malinconico poema cinematografico sulla crisi dell’uomo in un mondo privo di poesia. Il ciclo della sua poesia si conclude, dunque, in una spirale di pessimismo e sfiducia che lo porteranno nella tomba, la mattina del 31 ottobre del 1993.

Pochi mesi prima aveva ricevuto a Hollywood il suo quinto Oscar, questa volta alla carriera, uno dei più prestigiosi. Lascerà diverse opere incompiute, ma come dimostra anche l’aggettivo “Felliniano” il suo più grande lascito è quella percezione onirica del mondo che, nel bene e nel male, accomuna i grandi ed i piccoli sognatori del mondo, infatti “Felliniano” vuol dire proprio questo: onirico, splendido, meraviglioso, bizzarro. Proprio come Federico Fellini.   

Per riascoltare il podcast: https://valsonair.liceovalsalice.it/podcast/puntata-del-15-aprile-2021/

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