• martedì , 19 Marzo 2024

Il diritto di rinunciare

La vita non è sempre costellata da grandi vittorie. Una realtà che stride in una società in cui solo i grandi successi sono degni di essere messi in risalto e acclamati. Gli sbagli, le cadute e i fallimenti sono spesso oscurati e quasi negati da un’immagine idealizzata di vita che viene propinata costantemente dai mass media. In un mondo competitivo, dove si ricerca la perfezione e la conquista del titolo “il migliore”, soltanto poche persone hanno il coraggio di accettare i propri limiti, di mettere al primo posto “sani” principi rinunciando alla tanto acclamata “fama”.

Ecco il caso di Simone Biles, plurimedagliata campionessa statunitense di ginnastica artistica, che proprio in questi giorni ,in occasione delle olimpiadi di Tokyo 2020, decide di abbandonare le gare, riscuotendo grande stupore.

Una scelta coraggiosa quella dell’atleta: scegliere di mettere in secondo piano uno degli eventi più importanti della sua carriera, frutto di pesanti allenamenti e numerose rinunce, per salvaguardare la propria salute psico-fisica, andando controcorrente e in conflitto con le aspettative e il titolo tanto ambito. Simone Biles ha infatti rivelato di soffrire di “Twisties”, un disturbo che consiste nell’improvvisa perdita del senso dell’orientamento nello spazio portando una sensazione di vuoto, condizione molto pericolosa per atleti di ginnastica artistica intenti a svolgere performance di alto livello. Questa alterazione può essere causata dalla pressione, dalla tensione e dalle aspettative altrui.

La decisione di abbandonare le olimpiadi riflette il coraggio di saper dire basta in modo deciso, di fronte a un ambiente che spinge a rischiare il tutto per tutto per vincere e conquistare il primo posto. Gli errori e i fallimenti non devono essere vissuti come sconfitte personali o nei confronti della comunità, ma essere uno sprone capace di alimentare quella voglia di auto miglioramento e di raggiungimento dei propri obbiettivi.

Spesso questo concetto di “malsana competitività” può essere prematuramente trasmesso dai genitori che pretendendo massimi risultati dai propri figli, in ambito sportivo oppure scolastico, imprimono l’idea del fallimento e della sconfitta come un evento meramente negativo. Anche la scuola, ponendo una valutazione necessaria basata su scala numerica, può rendere indirettamente il titolo di “migliore” o “peggiore”.

Probabilmente l’idea di sbagliare nei confronti della collettività e dell’essere costantemente giudicati dalla stessa è una sensazione radicata nell’uomo sin dall’antichità. Sembra quasi che le aspettative di perfezione fisica e morale nell’uomo virtuoso, espresse dal concetto greco “kalos kai agathos”, continuino in modo imperterrito ad attraversare i secoli fino a toccare la società attuale. Ecco che i temi dell’apparire e dell’infallibilità umana, in questo caso, della decisione di Simone Biles di ritirarsi dalle olimpiadi andando contro le aspettative di tutti i tifosi, sono strettamente correlati tra loro.

La pressione sociale e la competitività possono gravare sul singolo individuo con diversa intensità e secondo numerosi fattori come: il carattere, l’esperienza oppure l’età o il contesto socio-culturale. Per questo motivo è molto difficile affrontare questo argomento in modo univoco, poiché le reazioni dell’individuo sono altamente soggettive.

La scelta di Simone Biles può essere molto preziosa per la società avendo dimostrato quanto sia importante ascoltare sé stessi e riconoscere quando fare un passo indietro se la posta in gioco è talmente alta da rischiare di compromettere la salute personale.

Inseguire il perfezionismo e le aspettative altrui può ledere la propria persona; non bisogna quindi nascondere le proprie debolezze ma cercare una strategia per renderle un punto di forza.

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