“L’uomo è un animale sociale”: un’affermazione che è stata usata e talvolta anche abusata da i salotti televisivi di oggi in maniera pervicace, tanto che ormai ci sembra diventata scontata, il mantra di qualunque oratore voglia parlare di socialità. Il paradosso però sta nel fatto che in pochi finora si sono accorti di come questa non sia che l’ennesima goccia di inconsapevolezza che confluisce nel mare dell’ignoranza collettiva. Infatti la sterile ripetizione di questa formula non implica che la si sia compresa appieno, ma si tende semplicemente a prenderla come un assunto, senza evidenziarne le ragioni né tantomeno i limiti.
Il punto debole infatti si scopre nel momento nel quale subentra un altro fattore in cui un altro fattore sociale, quel sentimento che accompagna l’umo fin dai suoi albori: la paura. Essa infatti trova terreno fertile nell’animo umano e si declina in molteplici sfaccettature, ognuna delle quali viene percepita soggettivamente dagli uomini. Filosofi come Grozio o Pufendorf sostengono che la paura è in realtà ciò da cui la società stessa trae origine.

L’uomo infatti davanti ad essa reagisce: può fare fronte comune coi suoi simili e dunque stipulando un contratto sociale, oppure sparandosi dagli altri individui e cadendo pertanto in un’anarchia comunitaria condivisa. Proprio in quest’ultimo caso possiamo parlare di società individualizzata. Se analizzata l’espressione sembra ossimorica, il solo fatto di vivere in una società dovrebbe precludere al singolo l’individualismo, eppure oggi è proposta come una sorta di compromesso sociale inevitabile per l’esistenza stessa di una comunità. Sembra infatti che l’uomo possa fare affidamento solo su sé stesso, isolato in un mondo di opportunisti, quello scenario che può essere definito con l’affermazione di Hobbes “Homo homini lupus”. Infatti già da molto tempo si è compreso come l’idea che l’uomo possa vivere in una società fondata su un’azione solidale sia un’utopia.

La colpa di ciò è l’uomo, ma non in quanto egli stesso sia il male, ma poiché, come secondo il pensiero tomista, è un essere fallace, dunque è inevitabile che commetta scelte sbagliate. La discriminante risiede però nel condizionamento delle scelte esercitato proprio da quella sensazione di incertezza che finisce per sfociare nella paura. Un’altra delle sue caratteristiche infatti è che essa porta l’uomo a sentirsi isolato e dunque a finire per rinchiudersi in sé stesso, andando a generare quella dispersione dei legami sociali che porta alla rovina intere comunità. Le più nobili arti infatti si basano sull’interazione sociale tra gli uomini: la politica, l’economia, la giustizia, e addirittura l’amore. Oggi, in un mondo che procede secondo il divenire globale, la mancanza di certezze sta portando ad un’esasperazione dell’individualismo, la quale sta andando a corrodere lentamente quell’equilibrio sociale ottenuto dopo secoli di lotte.
Il peso di ciò, anche se non lo si nota, non ricade solo in un contesto nazionale, bensì sull’intero “villaggio globale“. La profonda contraddizione della globalizzazione infatti si manifesta nell’assoluto disinteresse per la solidarietà sociale, abbinata però ad una volontà di eguaglianza comunitaria degli individui. Il rischio al quale andiamo incontro dunque è quello di ritrovarci sempre più soli in un momento nel quale a prevalere dovrebbe essere un senso di comunitarietà. Il grande ostacolo della contemporaneità infatti è cercare di superare quel sentimento di incertezza attraverso la sicurezza data da una società solida e fondata sulla tolleranza, nella quale i muri vengano abbattuti e non edificati