Spesso definito secondario a quello dei medici, il ruolo degli infermieri viene esplicitato in un incontro in redazione con Livia Borello, ex allieva di Valsalice e attuale infermiera che già avevamo intervistato per un suo contributo uscito su La Stampa ad inizio pandemia.
Livia, al termine del Liceo Classico, inizia i suoi studi sull’infermieristica con l’intenzione di poter successivamente cambiare facoltà in Medicina; quando finalmente questa opportunità arriva, Livia si è però ormai innamorata degli studi da poco intrapresi. “Ho volontariamente scelto di rifiutare la facoltà di medicina – racconta ai redattori del Salice – per continuare infermieristica: sapevo di voler fare l’infermiera, era quella la mia strada”.
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Tralasciato il pregiudizio di infermiere in veste di semplice braccio destro del medico si scopre invece come questi due ruoli siano tra loro completamente diversi e dunque non classificabili in termini di importanza. Vige piuttosto una profonda collaborazione mossa da un comune obiettivo: la salute del paziente. È compito dell’infermiere conoscere le abitudini del malato, capirne le necessità e creare un legame che guidato dall’empatia permetta al paziente di confidarsi e dunque farsi aiutare; mentre il medico prescrive la cura, l’infermiere si assicura che essa venga seguita avendo però la libertà di valutarne efficacia e sicurezza, data dalla conoscenza dello stato del malato: ne emerge l’importanza del dialogo e dell’ascolto. Si crea così nell’ ospedale una fitta ragnatela di relazioni infermiere-paziente, nate dalle lunghe ore passate insieme. Concedere all’altro di conoscere le proprie sofferenze, la propria vulnerabilità fisica e mentale è il passo fondamentale per la creazione del legame facendo sì che il tempo di condivisione diventi esso stesso tempo di cura, è questo che rende l’infermiere professione profondamente umana.
D’altra parte non si può ignorare lo stretto rapporto che si ha con il dolore e con la morte, essenziale è essere in grado di saper responsabilmente dividere la vita in ospedale della vita in casa, lasciare che gli insuccessi e le sofferenze rimangano nel contesto ospedaliero. Come gestire però la paura di un fallimento? Livia risponde: “È assolutamente normale, anzi, è la paura stessa di sbagliare che ci permette di non farlo. Gli insuccessi però succedono e non ci si abitua mai alla morte, si impara piuttosto a reagire ad essa”.