[box] Lettera da Vicoforte agli amici che sono rimasti a casa. [/box]
di Sara Rossetti e Virginia D’Ettorre
sappiamo che hai già avuto problemi seri per non venire al pellegrinaggio a Vico Forte e speriamo almeno che la tua giustificazione sia stata accettata.
Siamo sicuri non si sia certamente trattato di malattia, visita medica, motivazione familiare o qualunque altra fantasiosa scusa. Nulla di tutto questo! A pensarci bene, forse un casuale ma fortunato utilizzo del preziosissimo modulino a fine diario.
In effetti, è stato un vero trauma staccare dalla routine quotidiana: e pensare che ti abbiamo lasciato in città in mezzo al traffico, nel caos…
E tutto questo per cosa?
Figurati che, per meglio immedesimarci, ci hanno chiesto di chiudere gli occhi, tornare indietro di 500 anni e immaginarci nella campagna, nei boschi, tra i prati. Ci mancava solo più che chiedessero di fingere che il tempo si fermasse: quello stesso tempo che forse ti può sembrare sprecato (quanti impegni a Torino…)
E non solo abbiamo dovuto sopportare il calore del sole sdraiati su quel prato così scomodo, ma abbiamo anche dovuto subirci il fastidio del torcicollo, dovuto al troppo guardare all’insù; per carità, si trattava, oltre che della cupola ellittica più grande al mondo, di un vero splendore – così lo hanno definito.
Ma c’è toccato di peggio: una chiacchierata con quel compagno di cui ogni tanto, magari, ci si dimentica dell’esistenza.
Sembrava che la giornata volgesse finalmente al suo termine: era l’ora del pullman, dove poter di nuovo ripensare ed avvicinarsi alla tanto attesa città; e invece no: le nostre orecchie erano di nuovo tartassate da quelle squillanti musichette melensi e quei cori di gruppo che, con i loro seimila decibel, ci devastavano ulteriormente. Per fortuna almeno a questo ero preparato: I-pod mi è venuto in aiuto.
Arrivati a casa, l’ultimo step di una giornata così faticosa: lo studio arretrato. C’era da finire Dante, canto settimo dell’Inferno: niente panico, gli accidiosi li conosciamo già bene…