• giovedì , 28 Marzo 2024

Il Ciclo delle Stagioni – La Primavera

I seguenti sette canti sono tratti da La Primavera la prima cantica del poema Il Ciclo delle Stagioni, scritta da Erasmo Giachino, stesso autore di questo articolo.

CANTO I

Ormai il freddo biancore è passato,
e il sole torna a splendere nel cielo,
mentre il vento del fato

stende su tutto un velo.
Lava i campi sottile pioggerella,
e intanto li copre com’un legger telo,

che d’acqua risplendente com’una stella,
che in tempeste lontane
allungan anche quella,

quella breve vita delle fontane
i cui continua a fare girar corpi
l’acqua che le regalan le castane

figlie dei raccoglitori di sterpi
che spesso a pescar vanno,
per sfamar della famiglia le serpi,

alla fine dell’anno,
quando il freddo è potente.
E gli abitanti della valle sanno

di forza onnipotente
il loro mondo cambia,
lo rende commovente.

CANTO II

Così cantan giocondi gli augelli,
nei prati sboccian fiori,
e tra i boschi i ruscelli,

gioiscon nel mezzo di quei colori.
Nelle pianure, montagne e colline
tornan tutti i rumori

e dopo un periodo di luce fine
sole ritorna d’oro.
Mentre della pioggia le goccioline

scorrono lungo il foro
del paese di campagna,
meraviglioso coro

di voci soavi lagna
brutto tempo venuto.
Son uomini del paese di montagna.

Ed è qui che un grosso uomo forzuto
porta una grande botte sulle spalle,
dentro vuota del vino già bevuto,

tempo del freddo v’era nella valle,
sulle gialle colline,
dove i contadin tenevan cavalle.

CANTO III

Nei campi nascon piante,
che anni dopo tornano nella terra.
Suo sapore inebriante

il gran vino sotterra,
s’appisola per l’anno successivo,
come un fior dentro serra.

Rossa rosa ha un fare inoffensivo,
cresce nei verdi prati,
ma guai agli stolti che con passivo

ragionamento in trappol son entrati.
E la trappola rossa,
colpisce. Sciagurati!

I vecchi secolari nella fossa
son finiti, per fato
degli uomini sommossa,

che alberi han tagliato,
distruggendo foresta.
Gli animali non voglion l’operato,

e si riversan nella città desta,
che li combatte così inutilmente,
così vince la mente disonesta.

CANTO IV

Ed è qui, in questo tempo, ch’incontrai
una dama gentile e premurosa,
che l’aspetto con molta cura osservai,

tant’era bella, però fu timorosa
e fuggì via per strada.
La rincorsi con ricerca infruttuosa

lungo tutta contrada,
quando stavo abbandonando speranza
eccola lì che un bel laghetto guada.

Allora guadai anch’io con costanza,
ma poi, come in un sogno,
donna s’alza dall’acquosa sostanza,

ci cammina sopra senza il bisogno
d’un aiuto di mano.
E io resto sbalordito e mi vergogno,

di vedere tale creatura, e invano
tento di toccarla, ma com’un fiore,
facendomi toccare nella mano

sensazioni d’amore.
Poi la donna sparisce tra le acque,
e io rimango con uno spezzato cuore.

CANTO V

Lungo le sponde del grande torrente,
guardano mille tulipani rossi,
che appena sbocciati seguon corrente.

Poi cadono nei fossi,
che ci son lungo il fiume,
e i sopravvissuti cadon per dossi

del terriccio bagnato, vicin piume
d’un magnifico e grandioso augello
che da esti il pranzo assume.

Dopo esso fugge, snello,
e dei tulipani resta più nulla.
Ma ecco spunta un drappello

di petali rimasti alla trastulla
del fuggito pennuto.
Essi cadon di nuovo nella brulla

confusione delle acque, ma saputo
pericolo che è corso,
rimangon in guardia da un altro bruto.

A fine del viaggio, sul loro dorso
c’è così tanta acqua che
cadon terra al termine del percorso.

CANTO VI

E il torrente i suoi petali abbandona
al lor crudel destino,
ma la loro storia non lo appassiona,

mentre prosegue il suo lungo cammino.
Dopo aver superato la montagna,
giunge vicino ad un bel ciclamino,

si getta e lo accompagna,
fino alla gran foresta,
dove vede il lago in cui l’acqua stagna.

Tra gli alberi, si sente una protesta
d’un augellino che non ha volato,
s’è fatto mal per caduta funesta.

Ma il torrente continua, scivolato
tra le pietre, ed arriva in pianura,
non è più agevolato

dalla pendenza pura.
Così fugge tra i campi,
sotto del sol calura.

E arriva infin tra i vampi
delle onde marine,
dove fan paura gli gorghi ampi.

CANTO VII

E cantano felici gli animali,
tra i fior appen sbocciati,
e non pensan a del gran mondo i mali,

mentre corron nei prati.
Gioiscon per bellezza della natura,
persin i lupi emetton lor latrati,

per felicità e paura
che hanno verso la lor bella madre.
E essa li ricompensa con premura,

mandandogli delle leggiadre
ricompense, che lor san comprendere.
Quando la si attacca le grandi squadre

d’animal s’uniscon a difendere
lor madre bellissima.
Tutto questo splendere

accade in questa gradevolissima
stagion. E gli augelli con voce vera
cantan una canzon graziosissima,

e con una severa
lezion gridan in coro:
“La nostra molt’amata Primavera!”

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