• sabato , 20 Aprile 2024

Diario di viaggio

[box type=”bio”] Foto di Marco Sala inviato a Sochi. Redazione a cura di Massimiliano Ronchi[/box]

[box]Nelle prossime settimane avremo l’onore di parlarvi direttamente della Paralimpiadi, cioè i Giochi Olimpici per uomini e donne disabili. Grazie al contributo di Marco Sala, ex-redattore del Salice classe 1991 e oggi inviato a Sochi come fotografo per Nessuno Press, vi faremo vivere questo evento più da vicino. Le sue immagini, i suoi diari, le sue parole (ci invierà ogni giorno un assaggio del materiale raccolto) ci trasmetteranno la passione del suo lavoro, ma soprattutto quella degli sportivi che si mettono alla prova e cercano di superare i propri limiti. [/box]


Il diario di viaggio di Marco si apre con un breve dialogo…

Sofia: “Che sensazione provi ad andare in un altro Paese in Europa? Ti senti a casa oppure no?”

Marco: “Beh sì, la sensazione è quella di essere a casa. Del resto, è questo che significa Europa, no?”

“Brava, appunto! E se invece vai in America, la sensazione è la stessa?”

“Forse in America no, non mi sentirei a casa come in Europa, mi sentirei un po’ più straniera”.

Sofia è una donna ucraina sulla cinquantina. Sguardo limpido, lineamenti spigolosi come quelli comuni alla sua gente. Da bambina ha vissuto e studiato in Russia, adesso vive e lavora regolarmente in Italia ormai da anni. Anche per lei sono giorni difficili, faticosi, glielo si legge negli occhi. “Sono distrutta”. Rinunciataria, dimessa. È una vigilia paralimpica fuori dal comune, sicuramente non delle più facili dal punto di vista politico e diplomatico: i giornali non parlano che della crisi che si sta verificando in Ucraina, specialmente nella zona sud-orientale della Crimea, dove le grandi minoranze russe che vivono nel luogo stanno rivendicando a gran voce il desiderio di affrancarsi da Kiev. Questo il motivo che ha giustificato l’invio della flotta da parte di Putin in quella zona del Mar Nero, a meno di mille chilometri da Sochi. “Crimea zona bellissima, tutta Ucraina bellissima”, va avanti a dire Sofia di fronte al telegiornale. In Italia il messaggio che la stampa trasmette è quello di un Putin aggressore, violatore del diritto internazionale, usurpatore della sovranità nazionale e territoriale di uno Stato. Indubbio. Quello che la stampa invece non dice, Sofia lo dice con una semplicità drammatica: “Per me è la stessa cosa! Io in Europa mi sento una straniera, nessuno mi accoglie come a casa; Russia è come Europa per voi!”. “Russia mi ha dato tutto, ho vissuto e studiato là tanti anni, Russia perfettissima”.
Rimpiange la vecchia Unione Sovietica, e non si fa problemi ad ammettere che, se potesse, accetterebbe all’istante un passaporto russo. Pensare che non è neanche originaria della Crimea, bensì di una zona non distante dalla capitale. Scombussola un po’, il pensiero di Sofia: “Russia perfettissima, e anche capo Putin”.

 

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Sofia è il primo tipo di persona che incontro sulla mia strada per Sochi. La seconda persona è un tassista, che in dieci minuti non manca di vomitare tutta la sua rabbia contro il sistema: chiama in causa la mafia, la colpa degli americani, gli interessi economici dei pochi a danno delle vite dei più, il magna magna che caratterizza questa situazione militare, che tanto possiamo dire tutto quello che vogliamo ma le cose non cambieranno mai, decidono tutto loro e poi sta’ a vedere che la guerra manco scoppia. Taccio, e vado con la mente agli occhi di Sofia.

La terza persona è un agente di polizia in aeroporto. Esibisco visto e passaporto, “ah, ma lei va a Sochi!”. Dal gabbiotto, la collega alle sue spalle si gira: “Ma va alle Olimpiadi speciali?”. Sorrido. Sorride, capisce. “Le chiedo scusa, intendevo le Paralimpiadi…” Sorrido un’altra volta, e a quel punto i due mi augurano buon viaggio. “E mi raccomando, supporti la squadra italiana anche per noi!”.

Le ultime persone che incontro e che segnano il mio viaggio sono gli atleti. Al gate in aeroporto infatti il mio sguardo incrocia progressivamente divise di Andorra, Grecia, Bosnia Erzegovina, e poi ancora Canada, Brasile, Argentina, Islanda. E’ molto tardi e sono molto stanco, ma vederli salutarsi con energici abbracci, darsi un cinque e scambiare due chiacchiere rievocando i momenti di Vancouver sorridendo come amici che non si sono mai persi di vista mi scalda letteralmente il cuore. Creano un ambiente familiare e amico, la loro serenità e il loro entusiasmo. Un ambiente olimpico.
Sarà un’esperienza difficile, a livello fisico come mentale e di cuore. Non vedo l’ora di iniziare a scattare.

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