Mentre il conflitto nella Striscia di Gaza si rinnova con maggior violenza dopo la tregua di 72 ore concordata nei negoziati con l’Egitto, gli Stati Uniti riprendono i raid aerei e i bombardamenti contro le postazioni jihadiste in Iraq, nel territorio controllato dall’Isis di Abu Bakr al Baghdadi. Obama, costretto all’intervento in medioriente come i suoi tre predecessori Bush senior , Clinton e Bush jr., ha giustificato l’iniziativa armata come un tentativo di difendere le minoranze da un “potenziale genocidio” per mano degli islamisti. Da qualsiasi parte si guardi, questa crisi politica e territoriale potrebbe avere importanti e drammatiche ripercussioni anche a livello internazionale.
Per quanto riguarda la guerra in atto tra Israele e Palestina, sembra che si tratti di una storia infinita: dopo la formazione ufficiale dello stato di Israele nel 1947, il rapporto tra la popolazione ebraica e quella araba, in particolare palestinese, si è deteriorato ancora di più, essendo già destabilizzato da millenarie motivazioni etniche e religiose. Tutto ciò porta al continuo riaccendersi di liti politiche e territoriali che spesso, come in questo caso, sfociano in guerre che sembrano sempre di più delle stragi: da un lato troviamo l’organizzazione militare e l’innovazione tecnologica di Israele (basti penare al Mossad e all’Iron Dome), mentre dall’altro le tecniche da guerriglia e una certa arretratezza dei combattenti di Hamas. Uno sbilanciaento di forze che porta i risultati che vediamo tutti, più di 2000 morti in tutto. Un’ulteriore conferma della portata di questi conflitti è il coinvolgimento di molti altri stati, sia arabi che europei, ma anche oltre oceano come gli Stati Uniti, che spesso agiscono ponderando gli interessi in gioco piuttosto che le vite umane e hanno tutto da guadagnare nel caso in cui la strage vada avanti.
Su un fronte apparentemente opposto troviamo l’Iraq e la nuova minaccia dell’Isis ( Stato islamico dell’Iraq e del Levante), una scheggia impazzita di Al-Qaida, disconosciuta dalla stessa organizzazione nel 2013, che ha come obiettivo l’allargamento del suo dominio su Giordania, Israele, Palestina, Libano, Kuwait e Cipro, dal quale conseguirebbe una imposizione generale della Sharia, la “legge” islamica. Alla luce di queste pericolose rivendicazioni la volontà di intervenire degli USA, anche se non condivisa, è comprensibile. Senza una resistenza adeguata si correrebbe il rischio della formazione di un forte stato islamico guidato non dai partiti moderati, bensì dalle frange più estremiste. A quel punto non potremo parlare più di una questione esclusivamente mediorientale.
E’ per questo che in una situazione di crisi così delicata e con possibili ripercussioni future è necessario che ogni decisione e iniziativa sia politica sia militare sia ragionata e meditata a fondo, per evitare di dovercene pentire in seguito.
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