In questi giorni si è discusso in Parlamento della riforma della scuola portata avanti dall’attuale governo. In questo contesto ha suscitato accese polemiche nei giorni scorsi un emendamento del deputato Marco Meloni, del Partito Democratico, riguardo a uno dei fattori da considerare nei concorsi pubblici. La proposta è di superare il “mero voto minimo di laurea quale requisito per l’accesso” sottolineando la “possibilità di valutarlo in rapporto ai fattori inerenti all’istituzione che lo ha assegnato”. L’idea è quindi di attribuire un peso differente al voto di laurea in base all’università in cui è stata conseguita. In sostanza in sede di un concorso pubblico anche un 110 e lode potrebbe essere ridimensionato, considerando l’ateneo di provenienza.
E’ evidente che l’emendamento centra un punto focale e problematico su cui è necessario riflettere e su cui non è immediato trovare la soluzione adeguata per il futuro dei giovani e del nostro Paese. E’ quindi doveroso analizzare le premesse della proposta e i suoi eventuali risvolti.
In primis non è un mistero che ci siano livelli di preparazione e difficoltà differenti a seconda delle Università. In effetti doveva essere proprio questa la premessa che ha spinto l’autore dell’emendamento, che ha affermato di voler evitare “che gli studenti scelgano università o corso di laurea in base al differente sistema di assegnazione dei voti”. L’esistenza di tali problematiche, come detto, è fuori discussione, tuttavia la proposta di Meloni non sembra una soluzione appropriata e convincente. Lo stesso deputato del Partito Democratico ha infatti espresso alcune riserve nei giorni seguenti sul proprio emendamento. Più che una risposta risolutiva da parte dello Stato, appare più come una pezza che non estingue il problema ma ne limita i danni. Il fulcro sono le singole strutture e istituzioni che devono essere potenziate e perfezionate.
Con il sistema proposto si svalutano le università che nelle classifiche di riferimento occuperanno gli ultimi posti, ma questa sarebbe una palese ammissione da parte dello stato di offrire servizi di qualità differenti in base al luogo. Infatti non tutti gli studenti anche meritevoli hanno la possibilità di trasferirsi per frequentare le sedi che offrono una preparazione ed un voto che vale di più. Legati a questo tema sono i test di ammissione all’università che sono talora basati su una graduatoria nazionale. In questi casi si verificherebbe una situazione paradossale, cioè sussiste il rischio di dover frequentare, non avendolo scelto, una sede di qualità inferiore. Restano inoltre parecchi dubbi sulle classifiche che difficilmente possono essere oggettive e considerare la totalità degli aspetti. Potrebbero invece essere stilate delle liste con le istituzioni che appaiono inappropriate, con lo scopo di favorire, sotto la guida dello Stato, il miglioramento dell’offerta e della serietà.
Sarebbe inoltre necessario un maggior controllo in tutte le università, tramite appositi organismi di vigilanza, per cercare di allontanare corruzione e scarsa professionalità, sperando così di rilanciare gli atenei italiani anche a livello internazionale.