• giovedì , 28 Marzo 2024

L'Italia della raccomandazione

La raccomandazione, pietra miliare della nostra società civile. Stile di vita che agli occhi dei più non cela la sua infallibile efficienza. Causa principale del suo perdurare attraverso i secoli è forse proprio questa. Che lo si voglia riconoscere o meno, la pratica della raccomandazione è tra le poche che nel Bel Paese funzionano. E ciò rende difficile rinunciarvici.

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Basata sulla volontà del creare una disuguaglianza, essa ci unisce più che mai in maniera democratica. Tutti ci sono passati. O meglio, l’ambizione di provare almeno una volta nella vita l’ebbrezza della “spintarella” ha segretamente attraversato il cuore di qualsiasi italiano degno di questo nome. In fondo siamo il paese in cui il sistema della raccomandazione inizia dalla nascita: “Quando un italiano è pronto a venire al mondo, le probabilità che sua madre, appena arrivata in ospedale, abbia chiesto, tramite vari gradi di conoscenza, una stanza singola per starsene in pace, sono molto alte”. Non è l’affermazione stizzita di qualche neo-mamma costretta a infernali ore di travaglio in un’affollata sala d’attesa, né qualche sarcastica voce da bar. Si tratta della constatazione dell’antropologa americana Dorothy Louise Zinn, secondo la quale questo non è che l’inizio di un ciclo che andrà a concludersi solo con la morte.
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Difficile darle torto. A partire dalle file da saltare e dai migliori tavoli al ristorante fino alle ammissioni universitarie e al posto di lavoro, ciò che più conta è il più stretto grado di parentela possibile con il potente di turno. Nella pratica comune dell’arte della raccomandazione, non c’è un vero e proprio giudizio di sincera condanna. Tutt’al più un’amabile rassegnazione. Ma in genere la “spintarella” è più comodamente considerata “peccatuccio veniale”. L’indignazione scoppia solo in casi clamorosi, quelli che coinvolgono i più abili fruitori della “spintarella”; insomma chi riesce a fare della raccomandazione una pratica di corruzione ad alto livello. Un esempio eloquente è lo scandalo primaverile che ha coinvolto il ministro Lupi. Diversamente, la vita di un italiano è legata alla raccomandazione come a uno statuto naturale. Difficile, quasi impossibile, rendersi conto del quotidiano allenamento alla propensione al privilegio, alla sfiducia nella trasparenza.
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La meritocrazia resta tuttavia uno sogno frequente nell’immaginario collettivo italiano. Questo non impedisce certo che, appena c’è un figlio da sistemare, sia rapidamente spolverata e consultata l’agenda delle amicizie più preziose. Bisogna ammetterlo: la giusta conoscenza muove più di qualsiasi curriculum. Questa è l’Italia di oggi. Questa è l’Italia di sempre. Nessuno è mai riuscito a fermare l’arte dell’appoggio. Non sono addirittura mancati i tentativi di legalizzarla: “è superfluo rinnovare il tentativo di sradicarlo, anche perché, alla fin fine, quando le raccomandazioni sono fatte a scopo di disinteressata assistenza, nulla vieta che siano accolte ed esaminate benevolmente” dice Starace nel 1933. Quella delle raccomandazioni pare essere dunque una pratica radicata nello scenario italiano, in ogni regime politico, dalla monarchia, alla dittatura alla democrazia.
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Attenzione però: c’è una significativa distinzione tra “spintarella” e raccomandazione in senso proprio, ovvero una veritiera segnalazione di persone meritevoli. La raccomandazione si guadagna; è giusto segnalare chi è capace. In Italia la raccomandazione si regala; il raccomandato è un incompetente imbucato dalla persona giusta nel posto sbagliato, scavalcando una lunga fila di candidati sicuramente più meritevoli. Per chi non può godere di questo privilegio, in fondo c’è sempre l’estero. Perché può anche essere vero che la determinazione conta più del talento, ma senza dubbio la raccomandazione conta più della determinazione.

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