• venerdì , 19 Aprile 2024

A tu per tu con il nemico

Alcune volte la vita ti riserva situazioni inimmaginabili.

Chissà se il sopravvissuto giornalista Domenico Quirico avrebbe mai pensato di rivedere dopo un paio di anni i suoi torturatori. Morti. Lui che ha rischiato di essere ucciso, che ha sfiorato pericolosamente la morte e che oggi vede i corpi esanimi dei suoi assassini. Persone che hanno cambiato inevitabilmente la sua vita. Forse neanche nei suoi libri è riuscito a raccontare tutto ciò che ha visto e vissuto nei cinque mesi di prigionia dell’ ormai lontano 2013.

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Cinque mesi passati nel terrore e nelle umiliazioni più disumane. Non è facile fare ritorno nei luoghi in cui si è stati ad un  passo dalla morte. Soprattutto perché citando lui stesso nell’articolo de “La Stampa” del 19 giugno: “Il corpo si difende, il corpo si rivolta, non vuole saperne niente della morte”.

Lui però è tornato in Siria due volte dopo il 2013. Poche settimane fa per la prima volta ha rivisto in foto i suoi sequestratori. Alla domanda se prova paura nel fare il suo lavoro e in particolare se l’ha provata nel tornare in quei luoghi, risponde deciso che la paura è l’ unica cosa che non sopporta. Per questo è andato nell’ epicentro dell’ epidemia di ebola nel momento di massima espansione: voleva combattere la fobia verso questo terribile virus. Nello stesso articolo del 19 giugno ribadisce: “Non è paura. Sono venuto a Beirut inseguendo una notizia”.

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La ricerca della notizia: il faro illuminante di ogni giornalista e sicuramente la guida di Domenico Quirico. In questo caso lo scoop è molto singolare e per certi versi intimo: i suoi sequestratori sono morti. Ed ecco allora che Quirico parte e va ad accertarsi dell’ incredibile notizia e poi scrive un pezzo su questa sua esperienza. Non però sollievo e senso di giustizia. Quirico ha avuto la forza di scrivere che “alla morte non ci si abitua”, neanche a quella di persone senza più un briciolo di umanità. Questo approccio di fronte alla morte fa riflettere e chiama in causa la coscienza. Il giornalista ha compreso un messaggio indecifrabile: perdonare il proprio nemico.  Non si può sapere niente con certezza se si tratta di perdono, ma sicuramente da questo articolo si comprende come sia del tutto assente un sentimento di vendetta. La vendetta non è ammessa di fronte alla foto di cadaveri massacrati.

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Nell’ articolo rimane solo il forte disprezzo per chi ha strumentalizzato un testo sacro, come il Corano, per giustificare la propria violenza. Usato come giustificazione allo spaccio di droga, al traffico illecito di organi e alla prostituzione. Quindi come purtroppo ormai avviene nella maggior parte dell’ Occidente, anche in questi luoghi e in queste persone il dio denaro ha preso il sopravvento ed è diventato l’unico obiettivo anche se ciò comporta perdere la propria umanità.

 

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