• mercoledì , 24 Aprile 2024

L’importante è saper amare

di Federica Trinch e Virginia Manzo

La mano umana può fare tutto. Indicare, comunicare, manipolare, impugnare. Stringere un martello ad esempio. Martello che può piantare chiodi o spaccare crani. Questo è quanto dice il neuroscienziato Nicholas Carr. Ciò vale anche per le nuove tecnologie, i cui effetti sono sempre più inaspettati. Esse hanno un’ influenza non solo più fisica, ma che è arrivata a toccare anche ambiti affettivo-sentimentali. Le relazioni, se già da sempre complicate, sono pressoché annullate dalla presenza ingombrante del piccolo intermediario: lo smartphone. Così patologie superate, quasi dimenticate, tornano ad essere argomento di attualità. Non sono rari i casi di timidezza fisiologica tra i giovanissimi. Tutto ciò funge da lente d’ingrandimento sulle debolezze umane. Una delle tante, la violenza sulle donne. Tema discusso nella conferenza tenuta da Giuliana Mieli e Paolo Ercolani presso il Salone del libro l’11 Maggio.

La condizione svalutata delle donne è quasi un topos nella credenza umana. Ovidio, nel I secolo d.C., scriveva nella sua “Ars Amatoria” (peraltro indirizzata solo agli uomini, unici degni di essere educati) che il no di una donna è un semplice vezzo da violentare. Questo retaggio, l’inferiorità della donna, coltivato nel tempo ha attecchito anche al terreno fertile dell’Illuminismo. Rousseau nell’ “Emilio”, uno dei testi più famosi della pedagogia mondiale, presenta l’educazione di Sofia, giovane fanciulla in età da marito: ammaestrata ad allevare i figli, ordinare la casa e a farsi bella con l’unico scopo di piacere agli uomini. Infatti, rifletteva Erik Erikson, alla donna spetta uno spazio domestico, chiuso, protetto. All’uomo invece i luoghi aperti dell’economia e dell’imprenditoria. Anche nella cosiddetta epoca del “politically correct” questo preconcetto è rimasto nella mentalità di molti uomini. Non saper amare e considerare la donna come semplice corpo è sintomo e conseguenza di una cattiva educazione sentimentale. Nel XIX-XX secolo, periodo di guerre, spesso i bambini rinchiusi nelle case-famiglia morivano facilmente per numerose epidemie a causa della mancanza di affetti. Lo dimostra il caso di una nurse che grazie al suo stretto rapporto con un bambino ha favorito il miglioramento delle sue condizioni di salute. Da questo lo psicologo Bowlby ha sviluppato la sua teoria dell’attaccamento.

Infatti sin dalla nascita l’uomo è relazione. Dal rapporto con la madre allo scambio reciproco che crescendo intrattiene con il mondo. Legami che per funzionare necessitano di un’educazione. E questo è lo  scopo del progetto che si terrà a Settembre nelle scuole, presentato al salone dai due relatori.

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