• sabato , 20 Aprile 2024

Marco Sfogli e la PFM – Prog made in italy

Le strade di Verona sono intasate di turisti. Le bancarelle piene di delizie ricoprono la superficie di Piazza Bra e l’intera città è invasa dall’atmosfera frenetica tipica dei giorni che portano alle grandi festività natalizie. A pochi chilometri dall’Arena, nel Viale degli Artigiani, l’inizio di un pomeriggio fuori dal normale è segnato dallo scorrimento delle porte del Musical Box. La loro apertura abbatte la distanza tra la folla di musicisti, ormai pronti ed ansiosi, e i due protagonisti della giornata: Marco Sfogli e Plini.

Chi s’intende di chitarra e di Prog (genere che può essere descritto come il soprainsieme dei generi musicali: svincolato da qualunque limite ritmico, tempistico, armonico, melodico, tematico, culturale..) non può non essersi mai imbattuto in questi due nomi. Sebbene nessuno si sarebbe aspettato una collaborazione tra due esponenti del genere così differenti, Marco rappresentante della corrente più classica e Plini dei nuovissimi fermenti, è stata resa possibile da Jacopo Frapporti, che ha coordinato l’intero evento.

Nell’arco del pomeriggio è stato concesso un paio d’ore ad entrambi gli artisti per condividere una selezione dei loro brani, che hanno eseguito con il massimo trasporto emotivo com’è loro solito fare, e tra una canzone e l’altra, dei momenti di dialogo con il pubblico, in cui poter esporre qualsiasi dubbio, questione e per conoscere il parere degli esperti. Alla fine l’australiano ed il cremonese hanno amalgamato i loro due stili in un’improvvisazione melodica mozzafiato, dalla quale sono emerse le peculiarità stilistiche e i tratti più distintivi del loro suono.

Nell’ultimo momento di chiacchiere,  ringraziamenti e foto è stato possibile prendere da parte Marco per approfondire la conoscenza di un artista italiano che, sebbene di tale calibro, si è dimostrato incredibilmente disponibile e umile. Infatti, negli ultimi anni ha reso celebre il suo nome entrando a far parte della storica Premiata Forneria Marconi , gruppo italiano in attività dagli anni settanta conosciuto e apprezzato nel mondo intero. Il modo in cui si presenta al pubblico è invece quello di semplice padre casalingo.

Così descrive la sua esperienza da “ultimo arrivato” nel celebre progetto:

“Comporta sicuramente una responsabilità molto grande portare l’arte italiana in giro per il mondo, e soprattutto, considerando che la PFM è il gruppo rock più famoso all’estero, la responsabilità raddoppia. Ma posso dire che è un grandissimo onore. Mi ha dato la possibilità di suonare in luoghi che non avrei mai immaginato! Con l’ultimo tour siamo stati in Sud America, in Giappone, negli Stati Uniti e tra poco, a Febbraio, parteciperemo alla Cruise of Prog (Cruise to the Edge): una crociera che ha come itinerario la Florida, le Bahamas e il Messico dedicata solo alla musica progressive”.

Lavorare con artisti così importanti che effetto ha avuto su di te?

“Fortunatamente lo faccio con l’incoscienza di chi non ha il timore reverenziale nei confronti della band, perchè probabilmente non avendola ascoltata tantissimo non ho l’impressione e quindi la preoccupazione di dover suonare con un mio idolo, che potrebbe portare a temere la musica stessa. Invece l’ho sempre affrontata con la massima tranquillità ed è un consiglio che darei a tutti : approcciarsi alla musica, come ha detto anche Plini, in maniera rilassata, molto tranquilla”.

Qualche consiglio per poter condividere con altri un genere musicale così complicato? Spesso alcuni partono dal pregiudizio che l’unica musica “bella” è quella che si può ballare.

“Eh beh, diciamo che il prog non è un genere ballabilissimo, anche per via dei tempi dispari. Innanzitutto io non sono uno che forza la mano con i generi, anche con i miei figli, non li obbligo mai ad ascoltare quello che scrive e che suona il padre. Ascoltano ciò che passa alla radio quindi i Maneskin, Cristina d’Avena che fa il nuovo disco e va bene così. Ognuno ha una propria visione personale di quella che può essere la musica. Però, se uno vuole approcciarsi a questo tipo di musica secondo me deve partire dalle origini, dai gruppi progressivi che hanno scritto le pagine della storia (Genesis, Yes..) e che hanno influenzato i nostri (Pfm, il Banco..) e pian piano arrivare ai Rush, ai Marillion, i Dream Theater e infine ai nuovi artisti. Inizialmente il Prog moderno potrebbe confondere ancora di più le idee”.

la PFM con De Andrè

I Dream Theater sono dei colossi nel panorama della musica prog, ormai da diversi anni. Marco è stato contattato dal cantante, James LaBrie, con cui ha partorito il suo terzo album solista del 2005 “Elements of Persuasion”, e anche dal geniale tastierista “stregone” Jordan Rudess dalla cui collaborazione è nato “The Road Home” ed un altro progetto molto interessante.

E’ incredibile che tra i chitarristi di Jamtrack Central si possa leggere anche il tuo nome! Com’è cominciata la collaborazione con il sito didattico più importante per la chitarra? 

“Conosco Johnny e Ian della Jamtrack dagli albori del progetto. Quando stavano lavorando alla distribuzione fisica di alcuni CD Jordan Rudess mi mise in contatto con il chitarrista svedese Mika Tyyskä, che collaborava già con loro. Mika mi suggerì di proporre un mio lavoro da integrare nelle registrazioni e John ne fu entusiasta. Da allora abbiamo continuato a lavorare anche con basi e progetti diversi. La situazione alla Jamtrack è davvero bella: si propone come portale didattico ma anche molto altro: con le diverse masterclass e le proposte di studio tarate su livelli diversi di difficoltà si è mostrato molto efficace. In più mi trovo in compagnia di chitarristi eccezionali come Kiko Loureiro, Guthrie Govan.. quindi è fantastico!”

  

Il famosissimo marchio di chitarre “Ibanez” per l’ultima serie “A-Z” uscita l’anno scorso ha chiesto anche a te di lavorare alla progettazione e realizzazione del modello. Qual’è la tua storia con il marchio?

“Per me che sono stato un fan di Ibanez sin da quando ero ragazzino è stato un sogno : Steve Vai usava Ibanez, Joe Satriani usava Ibanez, Reb Beach usava Ibanez, John Petrucci cominciò con una Ibanez e Frank Gambale pure! Insomma tutti quelli che ammiravo quando cominciai a studiare avevano quelle chitarre, per cui ho sempre gravitato verso quel marchio. Questa iniziativa è nata quando sono tornato a Ibanez dopo 15 anni che non la usavo più,  è stato un po’ come riprendere il paio di scarpe comodo che capisci è meglio non cambiare di nuovo perchè poi vengono i calli e non riesci più a camminare. Per me è stato sempre questo. Quindi quando sono tornato era gestito inizialmente dalla distributrice italiana Mogar e poi dalla Hoshino direttamente dal Giappone. La collaborazione è nata dal fatto che  hanno notato la fedeltà al marchio, hanno intravisto un potenziale e soprattutto, uno dei capi della Ibanez è un fan sfegatato dell PFM. Così è nato il primo modello MSM Signature da distribuzione che è stato un successo e del quale sono molto felice. L’ho usata fino all’altro ieri e adesso è arrivato il nuovo modello che ho qui sta sera e che verrà presentato al NAMM di Los Angeles l’anno prossimo. Insomma, è un grandissimo onore per me! Ormai Sfogli si trova dopo Satriani e poco prima Sam Totman dei DragonForce, quindi sto lì in mezzo e me ne sto in buona compagnia”.

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I modelli Ibanez presentati al NAMM 2018. La A-Z è la prima della fila

Per chi che vuole avvicinarsi alla stesura di brani musicali prog, quale approccio suggeriresti?

“Consiglio di partire da cose semplici, sono convinto che la musica non debba per forza essere iper complessa e che lo diventi già nel momento in cui tu la senti così. Se uno non sente la musica come abbastanza prog, abbastanza complessa, abbastanza dispari etc non c’è bisogno di forzare la mano. Ognuno scrive la propria musica in un modo che riflette i suoi ascolti, è una cosa naturale. Forse in questo mondo, in cui è stato detto un po’ tutto,  è più difficile scrivere brani più semplici ma di maggiore impatto che brani con tanti cambi di tempo e con tante particolarità. Bisogna scrivere la musica che si sente di voler scrivere e non costringere nulla, ascoltando cose diverse comunque si possono arricchire le proprie idee”.

Tu come scrivi una canzone?

“Generalmente parto da un’idea principale, che viene sempre quando sei in giro a fare commissioni o bloccato nel traffico e mai quando sei seduto nella tua stazione di registrazione, e poi la sviluppo all’interno del concetto più argomentato dell’intera canzone, però cercando sempre di mantenere una prospettiva pop nella sua struttura. Quindi per me in una canzone c’è bisogno di un’ intro, una strofa, un ritornello, un bridge e uno special, proprio come nelle canzoni pop. Ad esempio, Andromeda è speciale perché tutto è nato dal lick finale, che era già pensato storto com’è, e solo dopo ho scritto il resto secondo le diverse sezioni del brano. Però per il prossimo album ho scelto di utilizzare un metodo diverso, cercando di partire non dalla melodia sotto la quale prima sviluppavo l’armonia e tutta la canzone, ma fare l’inverso. Quindi molte delle canzoni che usciranno sono nate a partire da frasi di pianoforte o da accordi. Ho deciso di provare con qualcosa di più comune ai compositori”.

 La tua è una duplice identità musicale: nei tuoi lavori da solista ci meravigli con virtuosismi, armonie grintose ed originali mentre nella PFM ci mostri un lato più rigoroso e classico. Anche tu percepisci questa dicotomia?

“Beh certamente. Nei miei lavori ho tutto lo spazio necessario per raccontare quello che la musica è; come la penso io. Nell’ultimo album “Emotional Tattoos” della PFM mi è stata concessa la massima libertà di proporre, infatti in alcuni brani si sente che c’è la mano del prog più moderno. Nel brano strumentale, la lezione e la danza degli specchi e in generale quando senti un unisono tra le tastiere e la chitarra si può intuire che mi è stata lasciata libertà di scrivere. Ma ovviamente devo mantenere uno stile preesistente e non posso esagerare perché il gruppo ha una sua identità sonora : inserire troppo prepotentemente la mia personalità porterebbe a snaturare quello che è il suono della PFM. Lì sono più un musicista in funzione del gruppo mentre quando sono solo, impersono l’autore, il compositore, l’artista che se la suona e se la canta. Trovo importante non imporre il proprio pensiero a tutti costi ma trovare una mediazione tra il proprio estro e quello del gruppo in cui si suona. Un buon artista si mette sempre a disposizione della band”.

Ciò è comprensibile quando si pensa alla band di amici che suona localmente, ma quando ci sono personalità artistiche di un livello così alto?

“Beh per Freedom Square ad esempio mi hanno detto: “scrivi uno strumentale”. Così ho scritto tutto e Patrick poi l’ha arrangiato, tagliato e perfezionato. E’ stata ammirevole la fiducia che mi hanno dato nella fase compositiva. Sarebbe stato più normale che mi venisse data una canzone già scritta che io dovevo solo interpretare, invece è stato esattamente l’opposto: “Scrivi! Scrivi! Scrivi!”. E così si sono mischiate due generazioni. Perché effettivamente da una parte ci sono Franz e Patrick di 72, 71 anni, della generazione iniziale e poi, dell’80, che faccio parte di quella semi-nuova , non così nuova come Plini, ma insomma la seconda ondata me la sono vissuta, e siccome sta funzionando, speriamo di continuare a lungo!”.

Così si è conclusa una giornata artisticamente e umanamente intensa. Adesso non resta che aspettare le nuove uscite di Marco e un nuovo tour europeo da parte di Plini.

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