• martedì , 23 Aprile 2024

La cultura dell’impunità

di Sara Montarolo

Il 21 luglio 2020 la giovane deputata degli Stati Uniti Alexandria Ocasio-Cortez è apostrofata sulle scale del Campidoglio dal collega repubblicano Ted Yoho con diversi epiteti offensivi tra i quali spicca per la volgarità di carattere sessistafucking bitch”. All’inizio la politica statunitense afferma di non esser stata particolarmente ferita dagli insulti a lei rivolta, anzi, di esserci abituata dal momento che nella sua vita ha fatto parte della “working class”, ha servito ai tavoli nei ristoranti, ha preso la metro e ha camminato per le strade di New York: questo tipo di linguaggio, scurrile ed offensivo, non le è dunque sconosciuto.

Studio shot of a young woman with a hand painted on her mouth posing against a black background

“Quello che è accaduto non è una novità. È frutto di una cultura dell’impunità. E dell’accettazione della violenza e pure del linguaggio violento contro le donne. C’è un’intera struttura di potere a proteggere questa impunità.” Ma ciò che ha davvero disgustata la deputata è stato il modo in cui il deputato Yoho ha tentato di scusarsi, spiegando di avere una moglie e due figlie:  ha usato sua moglie e le sue figlie come scudo, come scusa per il suo comportamento scorretto. “Avere una figlia non rende un uomo una persona perbene. Trattare le persone con dignità e rispetto rende un uomo una ‘persona perbene’”.

Chissà quante altre donne quel giorno, o il giorno prima, o il giorno ancora precedente sono state apostrofate in tale maniera e non hanno ribattuto, non hanno preteso delle scuse, ma hanno semplicemente lasciato correre perché non era la prima volta e ormai ci avevano fatto l’abitudine. 

Questo è davvero il frutto di una “cultura dell’impunità” nella quale per una donna, adulta o adolescente che sia, è del tutto ordinario essere vittima di insulti o di indecenti apprezzamenti per strada, al bar, in metropolitana, ed è del tutto ordinario che nessuno prenda le sue difese. Anzi, gli uomini quasi si stupiscono del fatto che le ragazze che loro cercano di avvicinare con sudici complimenti si sentano a disagio, offese, insultate; si stupiscono se le ragazze cambiano strada, camminano più velocemente o addirittura si mettono una felpa per coprire la maglietta che lascia intravedere la pancia. Ma tanto il “catcalling”, pratica di presunto apprezzamento verbale che gli uomini rivolgono alle donne in strada, è talmente comune che si rischia che una donna, dopo essersi sentita umiliata, avvilita e vilipesa, all’ennesima volta, non si senta più in alcun modo toccata e anzi pensi “tanto è normale”. Ma il catcalling non è normale: il catcalling è una molestia. E’ giusto che una donna si senta ferita, perché le molestie feriscono, ed giusto che una donna pretenda delle scuse, perché è stata ferita. 

Il catcalling è l’ennesima forma di sessismo nei confronti delle donne che sfocia in molestia a cui pochissimi, sia tra le vittime che tra gli spettatori, hanno il coraggio di rispondere. Ma non si può, non si deve rimanere in silenzio davanti alla lurida volgarità di coloro che si permettono di apostrofare donne per strada con il solo scopo di umiliarle. Solo i vigliacchi, i vili, i codardi, si divertono a mortificare ed avvilire donne belle, donne forti, donne sicure di sé dalle quali, in realtà, si sentono messi in soggezione e delle quali si sentono inferiori.

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