• martedì , 19 Marzo 2024

Riguardare la storia

Si fa un gran parlare della storia, c’è chi ne sa di più e chi ne sa di meno (come in tutte le cose). Ma abbandonata la storia dei libri di scuola, abbandonata la storia di chi ama la storia, abbandonata la storia di chi cerca la verità della storia, c’è la storia per far politica. 

Esattamente: la politica si nutre della storia, in senso migliore o deteriore, dipende dai casi. Pensiamo a Machiavelli, uno dei nostri più grandi teorici politici: lui fa continuamente riferimento alla storia, per dimostrare le proprie tesi e quindi per validarle. Questo secondo l’antico e abusato motto dell’historia magistra vitae. Ovvero quella asserzione per la quale la storia ci insegna la vita nella misura dell’errore commesso da chi ci ha preceduto. Bene, tenendo a mente questo postulato, è ora di far chiarezza su qualcosa. Non si può strumentalizzare la storia per dei meri fini politici. Non si può decidere le sorti della storia a seconda della propria direzione ideologica.

Spesso infatti l’utilizzo della storia, all’interno del dibattito politico, è un utilizzo falso; ed è falsificato dalla volontà di emergere tra la grande  chiacchiera del politichese, oscurando quà e là dati e controllando, come fossero marionette, le vite di personaggi troppo morti per far valere le proprie ragioni sui vivi. Ma andiamo con ordine, facendo degli esempi che tutti possono comprendere: il primo Novecento. Si fanno gran chiacchiere su fascismo e comunismo, le grandi ideologie che animavano i cuori di mezzo mondo al tempo, ma spesso si parla senza indagare. Per avere un’idea lucida di cosa significasse il primo novecento si può tranquillamente consultare (e godere) il film Novecento di Bernardo Bertolucci. Il film racconta della vita di due personaggi, nati lo stesso giorno, nello stesso luogo, ma da due estrazioni sociali diversissime. Uno, Alfredo Berlinghieri, è il figlio del padrone della tenuta Berlinghieri, l’altro, Olmo d’Alcò, è il figlio di un bracciante che lavora appunto per i Berlinghieri. La pellicola racconta le loro vite dall’infanzia alla vecchiaia, in un arco narrativo di 5 ore che prende la storia del primo Novecento e la intreccia con le vite di questi due amici. Non è il momento di far critica cinematografica, ma in ogni  caso il film è un capolavoro. Ma ciò su cui c’è da soffermarsi è il motivo storico del film. Bertolucci è stato spesso accusato di aver fatto un film di parte con questo Novecento; in realtà, se guardato con attenzione, è un film profondamente lucido e rivelatorio. Perché indaga seriamente le cause della fazione social-comunista e fascista.

Guardando questo film certamente alla fine si parteggia per i partigiani che entrano e finalmente liberano i braccianti dal padrone (come è giusto che si parteggi per loro, diamine), ma comunque le ragioni del fascismo dalla visione di questo film sono chiare. Cosa spinse i braccianti ad affidarsi al comunismo? Le promesse fatte ovviamente: libertà, uguaglianza, e diritti di lavoratori. Cosa fecero allora i braccianti per ottenere tutto ciò? Gli scioperi: cosa crea uno sciopero? Improduttività: ovvero povertà per il padrone proprietario della terra. A chi si rivolge il padrone per ristabilire l’ordine e tornare a guadagnare con le coltivazioni? Semplice: alla nascente forza bruta delle squadre fasciste che controllavano la zona. Tutto torna: tornano le ragioni dei braccianti e tornano le ragioni dei padroni. Da questa narrazione non si esce di parte, si esce con uno sguardo ampio e lucido su cosa significasse essere padrone e lavoratore all’epoca; e soprattutto si comprendono le cause che spinsero i primi verso il fascismo e i secondi verso il social-comunismo. Assolutamente illuminante: anziché buttare ovvietà come i morti per mano fascista e gli ammazzati per falce comunista, il film vuole lucidamente indagare i motivi dell’uno e dell’altro. Questo manca alla storia usata (abusata) in politica: l’indagine delle ragioni al di là delle proprie ideologie.

Come si può mandare al macello milioni di italiani sotto l’etichetta di “bastardi fascisti”, se non si capiscono le ragioni economiche e storiche che condussero tutta quella gente a fidarsi di Mussolini? Come si può fare la stessa cosa, sotto il cappello insensato di “comunisti bastardi”, con persone che nella loro vita hanno cercato ideali di libertà ed uguaglianza, paragonandoli  ai sanguinari funzionari di Stalin, tanto per dirne una? Tutta questa è una chiara falsificazione politica, troppo fiera di se stessa per entrare nelle viscere della storia ed uscirne più consapevole ed intelligente. É massimamente importante accorgersi delle distorsioni storiche a favore delle istanze politiche, che, per esempio, nutrirono specialmente il secondo novecento: perché questa è la radice del pregiudizio e dell’ignoranza.

Ora noi giovani nati all’inizio del duemila siamo lontani dai fervori politici che spesso hanno fuorviato i politicanti italiani nel dopoguerra, e abbiamo la fortuna di poter guardare alla storia del secolo scorso (e di tutte le epoche precedenti, ovviamente) con maggiore distacco e lucidità. Questo è un tesoro immenso che può portare a grandi vittorie sociali, politiche, ed economiche. Se indagassimo, per esempio, le istanze economiche di fascismo e comunismo, ci accorgeremmo di come con fu tanto strano per milioni di persone affidarsi a questi due partiti (che a posteriori indichiamo come malvagi e fallimentari): in quanto proponevano una via lontana e forse (speranzosamente) vincitrice rispetto quella del capitalismo industriale, che dilagava dall’Ottocento a quel momento.

Ma per farlo bisogna ovviamente ed intelligentemente abbandonare le proprie convinzioni ideologiche, per far spazio alla profondità della storia e alle idee di uomini che a differenza nostra hanno vissuto quelle specifiche situazioni. E allora Marx lo si può leggere benissimo, senza passare per “bastardo comunista”, per riscoprirne le profetiche idee intorno alle inevitabili crisi del capitalismo selvaggio. Oppure si potrebbe leggere il Mein Kampf, per capire, ad esempio, quanto la politica successiva al Fuhrer abbia, in verità, adottato le stesse tecniche retoriche che Hitler proponeva in quella famigerata “mia battaglia”.  Ma tutto questo sfugge ovviamente a delle menti ottenebrate dalla propria ombra, talmente incastrate nel loro stesso gioco da non riuscire più a divincolarsene. Tocca a noi, giovani, riguardare alla storia, con occhio più lucido, per coglierne i motivi e creare un futuro meno terribile di quello che ci è stato consegnato.

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