• martedì , 19 Marzo 2024

Angeli che investono

Il Salice intervista Andrea Ferraris per analizzare il caso Satispay che ha portato alla ribalta il ruolo dei Business Angels a supporto dell’innovazione.

La notizia sulle pagine di tutti i quotidiani è folgorante: Satispay – la app che permette di effettuare pagamenti immediati via cellulare – raccoglie 68 milioni di fondi destinati allo sviluppo internazionale da 3 istituzioni finanziarie internazionali di prima grandezza. La notizia rimbalza anche sui canali televisivi americani. Davvero tanta strada percorsa per una start-up nata a Cuneo dall’ingegno di tre ragazzi poco più che neo-laureati.

Oggi è facile credere nel successo dell’iniziativa. Più difficile lo è stato per chi ha creduto nel progetto già dal 2014, quando la app aveva ancora dimensione locale ed i primi soldi messi dai fondatori e dalle loro famiglie iniziavano a scarseggiare. E in quei frangenti eccoli entrare in campo, gli angeli del business, a portare la necessaria iniezione di liquidità in attesa che la società producesse risultati tali da attrarre investitori istituzionali. Tra questi c’era anche Andrea Ferraris, con cui scambiamo due parole sul ruolo dei Business Angel e sul successo di Satispay.

Di solito quando si parla di finanza vengono in mente figure di finanzieri d’assalto o broker malefici – alla Gordon Gekko o the Wolf of Wall Street. Qui invece si parla di Angeli, è una sfida dantesca tra Inferno e Paradiso?

Il Business Angel non è né un  filantropo né un trader d’assalto. E’ una figura un po’ atipica, apporta capitali in una start-up, ma porta soprattutto esperienza, conoscenza e relazioni utili a far crescere le neo aziende. Ne diventa appunto un angelo custode, che la affianca nel processo di crescita in momenti ancora di grande incertezza, dove tra successo e fallimento la distanza è davvero marginale. Di qui questa definizione se vogliamo un po’ stravagante. Siamo angeli, ma comunque con un occhio attento al portafoglio e al ritorno sugli investimenti.

Ma se guardiamo al passato, anche personaggi come il conte Emanuele Cacherano di Bricherasio e gli altri fondatori della FIAT svolsero il ruolo di Business Angel ante litteram. Credevano nel progresso e investirono in quella che era a tutti gli effetti una start-up innovativa in un settore appena nascente ma rivoluzionario, diventandone anche figure di riferimento che nella terminologia odierna definiremmo influencer.

 Ma come si confronta un Angel con business innovativi e start-upper geniali? Non c’è difficoltà a comprendere l’innovazione da parte di chi ha magari vissuto in business più tradizionali?

Bisogna sfatare un po’ di mitologia delle start-up. Innanzitutto, la maggior parte delle aziende innovative nasce dalla applicazione di tecnologie a settori tradizionali. Ecco che allora si parla di food-tech come risultato dell’applicazione di internet al settore alimentare, così come di fin-tech (è il caso di Satispay), e poi di prop-tech (una per tutti, airb&b), insur-tech (le assicurazioni on-line), med-tech (la medicina a distanza) e così via per tutti quei settori che sono stati rivitalizzati e rivoluzionati dalla tecnologia. Quindi un bagaglio di conoscenze dei meccanismi dei settori tradizionali aiuta a comprendere quali sviluppi siano possibili. Poi, diversamente alla classica icona del ragazzino geniale, gli start-upper di successo sono mediamente degli over 40, e il fattore critico di successo non è tanto “inventare”  l’idea di successo ma avere la capacità, la forza e la dedizione di portarla avanti, magari anche ripensando e cambiando i modelli iniziali. In questo senso la presenza di Business Angel può rivelarsi estremamente utile.

Ma come si diventa Business Angel, è un lavoro o una passione?

Per me passione che diventa lavoro. La curiosità è stata la molla che ha fatto scattare questa mia attività: ho visto di tutto, in ogni campo, idee bizzarre e progetti mega. Dalla energia prodotta dalle onde al karaoke web. Tante promesse rimaste al palo ed alcune eccellenze, qualcuna colta ed altre mancate. Il vero problema è selezionare tra le decine di proposte che vengono presentate e resistere alla tentazione di investire su qualsiasi idea che sembri interessante. Esiste comunque una regola d’oro per gli Angel, diversificare: su 10 start-up è normale che 7 muoiano per strada, le rimanenti 3 devono portare un ritorno tale da compensare le perdite sulle altre. Puntare su un cavallo solo può essere molto rischioso.  Ed i ritorni avvengono con tempi lunghi, nell’ordine dei 10 anni. Ecco perché veniamo definiti “moneta paziente”. Non è mestiere per i deboli di cuore o per chi cerca facili guadagni (che non esistono..). Però sta crescendo il fenomeno dei club di investitori, dove ci si confronta con altri imprenditori e manager, così da avere una visione condivisa sui progetti e la possibilità di frazionare gli interventi su più start-up.

Quindi anche lei fa parte di una associazione di angels?

Si, sono socio del Club degli Investitori di Torino. Come da tradizione tutta piemontese di saper anticipare i tempi, è stato uno dei primi club ad operare in Italia e tuttora siamo l’associazione più numerosa, oltre 180 soci. Al riguardo spendo due parole per sottolineare l’importanza del ruolo del club nel valorizzare il processo di creazione e diffusione dell’innovazione applicata al business, anche attraverso accordi di collaborazione con università e politecnico. Da quando mi occupo di start-up ho capito quanto spazio ci sia per innovare, quante rivoluzioni ci siano nei cassetti. Credo che per chi abbia i mezzi – risparmiatore privato, istituzione finanziaria, ente pubblico – sia un dovere, oltre che una opportunità, investire in innovazione, ognuno secondo le proprie possibilità e propensione al rischio. Perché sta scritto che se continueremo a fare le stesse cose con i modi che abbiamo sempre usato avremo gli stessi risultati, che non sono affatto incoraggianti. Inoltre, credo che lo spirito di collaborazione tra noi soci e tra il club ed altri attori del panorama finanziario sia un ottimo esempio di come si possa lavorare insieme per dare un contributo fattivo alla crescita industriale, con soddisfazione per tutti.

Tornando a Satispay, investimento di successo quindi, aveva visto giusto, da lontano.

Sicuramente è una grande soddisfazione vedere la dimensione che ha raggiunto la società e la rilevanza anche mediatica di questa ultima operazione. Siamo di fronte ad una delle poche operazioni fatte in Italia con dimensioni “americane”. Si, perché anche nel settore delle startup siamo affetti da nanismo industriale. Le nostre aziende innovatrici si trovano a competere con le omologhe americane, cinesi ma anche europee, con diponibilità finanziarie inferiori di ordini di grandezza.  Come nella migliore tradizione imprenditoriale italiana, le nostre start-up hanno ereditato la capacità di ottenere risultati analoghi spendendo molto meno, virtù quanto mai necessaria.

Incontrai Satispay nel 2014, e sembra quasi un’altra era tecnologica, l’idea suonava benissimo confortata dai primi risultati ottenuti a Cuneo ed in parte a Torino. Le remore erano però pesanti: si riuscirà a conquistare spazi in città dinamiche come Milano (dove ora va fortissimo) ed ancora, arriverà qualche gigante del web a fare terra bruciata? Come sempre, una parte rilevante del giudizio complessivo sta nella valutazione del team societario, ed in particolare della capacità di “execution”, di realizzare quanto progettato. Ebbi un’ottima impressione e fu così che investii. 

Oggi possiamo affermare che Satispay vanta tre elementi di forza: è universale, funziona su ogni tipo di cellulare e con qualunque banca; funziona perfettamente ed è facile da usare – se fossi più giovane avrei detto “ha una user experience ottima”- , riduce il costo totale della transazione così da poter offrire tariffe competitive agli utenti business ed il servizio gratuito agli gli utenti privati.

Però siamo ancora in mezzo al guado. L’investimento si realizzerà solo attraverso la vendita dell’azienda – in ipotesi a qualche colosso del web o a un grande istituto bancario – oppure con la quotazione in borsa, rendendo le azioni negoziabili.  Quindi il cammino è ancora lungo, ma ho molta fiducia nel management che ha sempre raggiunto gli obiettivi dichiarati. Non è cosa da poco, è frutto di una grande visione e dedizione verso il progetto. Ma ricordiamo anche che è ampiamente dimostrato che non esiste il “too big to fail” per nessuno. Il quadro economico può cambiare repentinamente, ti adatti o muori. In questo caso ci sono le prerogative per realizzare un ritorno interessante sull’operazione, ma consideriamo che Il mio primo apporto in Satispay risale a 6 anni fa: come dicevamo, noi Angeli siamo “moneta paziente”.

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