• giovedì , 25 Aprile 2024

Personaggi in cerca d’autore: Lidia Poet

di Diletta Pogliano

È il 42 a.c..

Subito dopo la morte di Cesare a Roma c’è il caos. I triumviri Ottaviano, Antonio e Lepido attuano scelte durissime e vendicative nei confronti degli assassini di Cesare e cercano di impadronirsi di quanto più denaro possibile per affrontare la guerra civile contro Bruto e Cassio.

Vittime di queste decisioni sono anche le matrone romane: 1400 donne ricche e sole, senza marito o parenti di genere maschile che le possano tutelare.  I triumviri vogliono tassare i loro beni. Le matrone tentano di risolvere il problema rivolgendosi privatamente a Fulvia, moglie di Antonio, ma il tentativo fallisce e la vicenda diventa pubblica e trattata nel foro, luogo tradizionalmente riservato agli uomini, dove le donne non hanno facoltà di parlare.

Nel foro le matrone vengono patrocinate da Ortensia figlia di un famoso avvocato romano. Le abilità oratorie che Ortensia dimostra sono davvero notevoli e all’altezza della situazione.

I triumviri si infuriano e tentano di cacciare le matrone e Ortensia dal foro. Tuttavia la folla prende le loro difese e i triumviri dovranno arrivare a più miti consigli. Saranno tassate solo 400 matrone.

Lo scotto, però, fu davvero troppo forte e in seguito gli uomini romani vietarono alle donne, per legge, di postulare pro aliis, ossia di rappresentare altri in giudizio così come ricoprire incarichi pubblici. E così rimase … per 18 secoli. Fu infatti solo nel 1883 che una donna cercò di diventare avvocato in Italia. E ci riuscì. 35 anni e non poche battaglie dopo.

“C’era uno scalpitìo che rumoreggiava dentro di me: un impercettibile – seppur rumoroso – senso della giustizia, un’intrigante ambizione di ottenere un risultato dopo essermi messa in discussione”.

Questa è la storia di Lidia Poët, prima giurista d’Italia e, alcuni dicono, d’Europa. donna di “rimarchevole esempio di fermo proposito, di fortezza d’animo, di perseverante operosità”, e fondamentale figura di riscatto femminile.

Nasce nel 1855 e trascorre la sua infanzia a Pinerolo. Si laurea in giurisprudenza con una tesi sulla condizione femminile nella società e sul diritto di voto per le donne. Superati i successivi esami, chiede di entrare nell’ordine degli avvocati di Torino. Questa richiesta è, probabilmente, il fulcro della sua vita e suscita un accesissimo dibattito e non poche polemiche nel mondo giuridico torinese ma, non essendoci un divieto specifico, la sua istanza viene accolta dalla maggioranza. Sfortunatamente, uno degli oppositori alla sua iscrizione è il procuratore generale, il quale decide di sporgere denuncia alla Corte d’Appello di Torino, ribadendo il divieto per le donne di fare questo tipo di carriera con la celebre arringa e la massima “potrebbe, ma in realtà non lo è”. Linda, tra vari dibattiti e ricorsi, purtroppo non ottiene nulla e non può esercitare a pieno titolo la sua professione. Nonostante questo collabora con il fratello Enrico, anch’esso avvocato, e diviene attiva nella difesa dei minori, degli emarginati e delle donne. Inoltre, allo scoppio della prima guerra mondiale presta servizio in veste di crocerossina.

Al termine del conflitto mondiale una legge autorizza le donne a lavorare nei pubblici uffici e nella politica. Lidia Poet entra così finalmente a far parte dell’Ordine diventando ufficialmente avvocata a 65 anni.

Nel 1922 divenne presidente del Comitato pro voto donne.

Una riflessione

Negli argomenti contenuti nella sentenza del procuratore generale per giustificare l’esclusione delle donne dalla professione forense alla magistratura, viene fatto leva sul contrasto tra giustizia e grazia ma ora, dopo qualche decennio, possiamo affermare che nella misura in cui l’accesso a una funzione è vietato o reso difficile a un gruppo di persone, queste sono indotte a non investire nelle proprie capacità di svolgerla, alimentando così la tesi di una loro incapacità genetica e un circolo vizioso che può essere vinto soltanto con azioni positive volte a spezzarlo.

L’alto magistrato Eutimio Ranelletti scrive nel 1957 La donna giudice, riprendendo il contrasto tra giustizia e grazia, in cui possiamo leggere:

La donna è fatua, è leggera, è superficiale, emotiva, passionale, impulsiva, testarda e approssimativa e negata quasi sempre alla logica e quindi inadatta a valutare obiettivamente, serenamente e saggiamente, nella loro giusta portata, i delitti e i delinquenti”. Chissà cosa ne avrebbe detto Lidia Poët…

In merito alla diffusa, in quell’epoca, convinzione che alle donne fosse preclusa una lunga serie di incarichi tradizionalmente affidati agli uomini, non può non sorgere in noi tutti, molti decenni dopo, un impeto di fastidio nell’osservare quanto ottusa fosse la classificazione di cosa fosse lecito aspettarsi dal genere femminile.

Risulta inevitabile riflettere su come sia sciocco erigere muri nel pensiero e nell’azione del singolo, donna o uomo che sia.

Dopo millenni di formale segregazione al ruolo sociale ed umano a cui sono state ingabbiate – in quanto semplici custodi della casa e dei figli -, le donne come Lidia hanno dimostrato la tenacia, la consapevole energia vitale e di pensiero che sono indistintamente dotazione di tutti gli esseri umani, ed è grazie al loro sacrificio e al loro impegno che possiamo intuire quanto, oggi come allora, non è il sesso a definire il potenziale dell’essere umano.

Sarebbe lunghissima peraltro la lista di esempi di donne che hanno superato la coltre di nebbia della loro epoca per emancipare la società e farla crescere.

Ed è anche grazie al carattere e all’evidente forza di persone come lei, che oggi si può parlare di parità.

Nel riconoscere in ogni donna che ha esteso il proprio agire negli ambiti cosiddetti “maschili”, la sensibilità e l’innegabile resilienza femminile, prende forma e sostanza una nuova consapevolezza, che diventa un nuovo parametro sul quale la società non può non confrontarsi: la certezza che esiste l’essere umano, con la sua forza e la sua debolezza, e non una serie di scatole geometriche nelle quali le menti agiscono. Lidia, e tante altre figure anche più note, hanno saputo, con la determinazione che le spingeva, vedere più avanti, a cercare un orizzonte che già esisteva, solo celato agli occhi dei più.

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