• martedì , 19 Marzo 2024

Smoking bianco, Ricardo Kaká

Classe, rapidità, leggerezza. Queste le caratteristiche riconducibili ad uno dei talenti più puri che il panorama calcistico abbia mai visto: Ricardo Kaká .

Nasce nell’aprile del 1982, a Brasilia, da una famiglia di origine borghese così come lo sono le sue doti, pulite e lineari. Cresce nel San Paolo ma, grazie al trasferimento che lo porta a vestire la maglia numero 22 rossonera, entra a far parte del calcio che conta nel 2003. È un caldo pomeriggio d’estate, più precisamente il 16 agosto, nonostante ciò indossa un abito blu a righe e un paio di occhiali da primo della classe. Non pronuncia molte parole, solo quelle necessarie, con fare timido afferma infatti di voler entrare nella storia della squadra. Solamente il Real Madrid di Roberto Carlos e Zinédine Zidane può competere con quel Milan, che annovera tra i suoi fuoriclasse gli artefici della vittoria riportata in finale di Champions contro la Juve, nella magica notte di Manchester. È sufficiente tuttavia la prima partita di campionato contro l’Ancona perché Kaká dimostri di non essere giunto per svolgere il ruolo della comparsa.

Il suo primo anno è già un successo: segna 14 gol complessivi e il Milan vince lo scudetto. Da quel momento, come re Mida, trasforma in oro ogni pallone, ogni azione che passa per il suoi piedi e presto si consacra come una stella del calcio mondiale. Rivoluziona il ruolo di trequartista accostando l’estro brasiliano al rigore tipico del calcio europeo; gli avversarsi non sono in grado di contrastare le sue inarrestabili progressioni palla al piede né tantomeno di interpretare la sua visione di gioco.

Dal gol più bello al Pallone d’oro

Il 2007 segna la svolta definitiva, l’ascesa all’Olimpo del calcio. Il gioiello brasiliano trascina il suo Milan sul tetto del mondo vincendo da assoluto protagonista la Champions League, oltre alla Supercoppa Europea e al Mondiale per Club. Nelle 307 partite giocate vestendo la maglia rossonera realizza 104 reti, ma, tra queste, lui stesso ammette di preferire quella della semifinale di andata di Champions contro il Manchester United in cui, con un sombrero, scavalca Evra e Heinze causando il loro scontro. A destare lo stupore degli avversari stessi sono la facilità con cui esegue il gesto tecnico e la velocità grazie alla quale sguscia tra i difensori.

Raggiunge però il culmine della sua carriera quando, nello stesso anno, France Football gli riconosce il Pallone d’oro a discapito del binomio formato da Cristiano Ronaldo e Lionel Messi.

Il soprannome

Puro ed elegante, come uno smoking bianco. Questo è il soprannome, tra i più celebri, che lo storico giornalista e telecronista del tifo milanista, Carlo Pellegatti, gli ha dedicato per rimarcare la sua innegabile classe dentro e fuori dal campo. Quest’ultima è infatti la qualità che le squadre rivali per prime gli hanno sempre riconosciuto, così come la sua sportività.

Ritorno in rossonero e ritiro

Dopo una parentesi di quattro anni al Real Madrid, il ritorno al Milan nel 2013 è una nota dolceamara, difatti ad essere appagata è soltanto la malinconia dei tifosi. Lascia per la seconda volta la squadra milanese dopo appena un anno per firmare un contratto con l’Orlando City, facendosi però prima dare in prestito per sei mesi al San Paolo.

Termina definitivamente la sua carriera calcistica nel dicembre del 2017, con la consapevolezza di aver scritto una pagina indelebile della storia di questo sport.

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