5 minuti di freddo, rimbombante silenzio.
In un sottofondo di grida soffocate, suoni di spari e sangue.
E così, in un lasso di tempo non breve, di più, è stata posta la parola fine a 12 vite.
In una Parigi multietnica, anticonvenzionale, aperta ad ogni qual tipo di pulsione intellettuale, culturale, religiosa, il kalashnikov si è aperto una strada. Trucidando e uccidendo i giornalisti e i fumettisti del settimanale satirico Charlie Hebdo.
Tra lo sgomento generale, ognuno di noi, nel suo piccolo, rimane sbigottito e una consapevole tristezza prende posto nel nostro cuore. Perché nel contemplare una situazione di questo tipo ci sentiamo trucidati per ciò in cui crediamo.
Perché nella pallottola che ha colpito Charlie c’è e persiste la chiara minaccia contro la nostra libertà.
Contro la nostra possibilità di parlare, dichiarare, credere, scrivere, giudicare. Liberamente.
E il mondo Arabo, gli integralisti mussulmani sono riusciti ancora di più nel loro intento.
Se chiaramente i massacri laggiù non bastavano, le decapitazioni nel deserto dopo un po’ perdevano quella loro aurea di terrore, questo atto ci fredda nel nostro quotidiano.
Da qui a Parigi ci sono sostanzialmente pochi chilometri. Ma ancor di più viene minato e messo in discussione ciò che faremo, diremo e dichiareremo.
La paura è l’arma principale di questo fanatismo islamico, perché lede ogni forma di convivenza civile, ogni possibile passo in avanti per una collaborazione o un dialogo.
La grandezza di questi martiri della notizia e dalla satira si erge dunque nella loro volontà di procedere, di continuare con il sorriso e le sue copertine provocanti a proporci, settimanalmente, sotto lo sguardo una realtà che esiste e che continua ad esistere oltre all’articolo scartato e dimenticato tra le ultime pagine dei nostri giornali.
Per metterci in discussione scaraventandoci ironicamente giù dalla “nostra” sedia dorata da cui guardiamo e analizziamo ogni fatto dall’alto al basso. Con la presunta ed erronea volontà di sentirci migliori e superiori a ciò che sta accadendo dato che è troppo lontano dal piccolo mondo in cui ci rinchiudiamo.
L’unico, forse, errore contestabile sta nell’avere, in alcune vignette, leggermente oltrepassato il leggero e impalpabile limite che persiste tra insulto e satira. Questo è discutibile, come fanno giustamente notare alcuni giornalisti, ma non è accettabile la reazione.
Perchè le uniche cartucce che Loro possono avere sparato sono quelle delle penne.
Perchè il tratto deciso e satirico della loro matita era l’unico filo del rasoio che poteva e riusciva a punzecchiarci.
Ora, però, sta a noi il non cancellare come se fosse un semplice schizzo la macchia di sangue che lentamente si fa strada tra i grassetti e i corsivi delle nostre parole.
Sta a noi, il non farci prendere dal terrore per ciò che da oggi effettivamente e drasticamente potrebbe essere la scusa o l’incentivo della nostra morte. Spirituale ed effettiva.
Tocca a noi raccogliere il grande messaggio di questi novelli martiri per rivolgerlo ad altri, portarlo nel nostro quotidiano. Vivendolo. Fino alla fine.
Tocca a noi decidere o meno se essere Charlie.
Je suis Charlie.