Venerdì scorso la redazione del Salice è andata in visita al Forte di Bard alle mostre fotografiche Mountain Men, di Steve McCurry, e Frontiers, di Paolo Pellegrin. La prima, come suggerisce il nome, trattava spezzati di ciò che è la vita sulle montagne dei luoghi più isolati e remoti, dove non arriva la voce della vita urbana e il silenzio e la solitudine regnano sovrani, imponenti. La seconda, invece, presentava fotografie del viaggio dei migranti e il dramma che accompagna milioni di vite in fuga dalla guerra.
Il vero cuore della visita però era capire fino a che punto il fotoreporter può spingersi: dove fare una fotografia e condividere uno scatto è simbolo di una realtà e denuncia di ingiustizia, e dove, al contrario, è violazione della dignità umana, bieca cronaca sfociata nel raccontare anche il più morboso particolare.
Lo stesso Pellegrin, quando gli viene chiesto se c’è un limite a ciò che può essere pubblicato risponde così: “Ho un’intera galleria mentale di foto non fatte. Per pudore, o per paura. Ci sono anche fotografie che rimpiango di aver fatto. Non c’è una formula.
Non c’è differenza tra la coscienza del fotografo e dell’uomo. C’è sempre una tensione, ci metti la somma di tutto te stesso, di volta in volta cerchi di capire qual è la cosa giusta. La foto è pensiero, cambia con noi, oggi sono diverso da dieci anni fa, sono più vecchio, sono un padre…“.
Steve McCurry – @McCurryStudios pic.twitter.com/FTuPtDdcYq
— Masoo (@matteoml2512) 24 novembre 2017
L’altro fulcro delle mostre è stato capire se una foto per essere bella deve essere scattata il più vicino possibile, riprendendo il particolare, la sfumatura, per dare a chi la guarda la possibilità di spaziare con la propria fantasia, o se da lontano, con una visione più ampia della scena, comprendendo la cornice della situazione, evitando eventuali equivoci.
Steve #McCurry individua l’essere dell’uomo di montagna. La #durezza ,la #solitudine di #eroi che vivono in una realtà diversa. L’allegoria che va oltre l’immagine @fortedibard pic.twitter.com/1bopPGxm05
— Giorgio (@Giorgio_EB) 24 novembre 2017
“È la distanza emotiva che conta, la vicinanza tra il cuore del fotografo e quello del suo soggetto che fa la grande foto…”. “Si può addirittura contraddire il vecchio Robert e farsi indietro, persino montare un teleobiettivo, come Jonas Bendiksen quando nel remoto Altai incontra ragazzini che smontano il relitto di un missile sovietico caduto in un prato dove ora il cielo appartiene solo a migliaia di farfalle bianche”, così scrive Valerio Smargiassi su Repubblica. E ancora: “allontanarsi un po’ per essere vicini, molto vicini, al cuore del tutto“.
(foto di Chiara Milone, Alberto Sbodio, Edoardo Pivato)
Paolo Pellegrin – Forte di Bard #ilSalice #PaoloPellegrin #Bard pic.twitter.com/UQThbB80bQ
— Masoo (@matteoml2512) 24 novembre 2017
Per vedere l’articolo e l’intervista completi di Smargiassi da cui sono state tratte le citazioni visitare: